Parlare di infibulazione e di mutilazioni genitali femminili è ancora molto difficile, perché si tende a credere che questo fenomeno, così distante dalla nostra cultura, sia retaggio solo di Paesi molto lontani da noi, dove le regole tribali e i dettami ancestrali valgono molto di più della legge dello stato. Con il termine infibulazione si vanno ad identificare una serie di pratiche che consistono nella rimozione del clitoride, delle piccole labbra, parte delle grandi labbra, con cucitura finale o cauterizzazione della vulva, dove viene lasciato un piccolo foro che permette la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Si stima che nel mondo siano 120 milioni donne che hanno subito questo genere di mutilazione, 3 milioni di esse hanno meno di 16 anni, di queste circa 40.000 si trovano in Italia, rendendo il nostro Paese il primo, a livello europeo, dove si riscontra la presenza di donne infibulate.
Il momento del parto
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L’infibulazione è una macchia così grande nei confronti del genere femminile che numerose sono le associazioni che si battono affinché tale pratica possa una volta per tutte venire estirpata. I Paesi dove vige ancora la pratica dell’infibulazione sono: Egitto, Sudan, Etiopia, Eritrea, Mali, Camerun, Repubblica araba unita, Nigeria, Mauritania Ghana, Guinea, Gambia ecc... Si stima che in Egitto, nonostante l’infibulazione sia vietata e punibile legalmente, circa il 95% delle donne abbia subito tale trattamento e in Somalia la stima sale al 98% della popolazione femminile.
Come si esegue l’infibulazione? Solitamente si pratica sulle bambine di 6-7 anni, in un contesto rurale, dalla santona o dalla nonna, che a loro volta in gioventù è stata infibulata, è un circolo vizioso che comprende al suo interno nonne, madri, zie, sorelle, figlie, che si vedono costrette a mantenere viva questa pratica, prima patendo una sofferenza indicibile, poi ripetendola sulla propria prole. I tagli si fanno con piccoli coltelli, pezzi di vetro, rasoi, utensili affilati, ovviamente senza anestesia e per chiudere la ferita si utilizzano spine, si cuce oppure si cauterizza la ferita. Una volta eseguita l’operazione le gambe della bambina vengono legate strettamente impedendole anche i più semplici movimenti e così deve restare fino a che la ferita non è guarita. I rischi di infezione per le bambine sono altissimi, perché gli strumenti utilizzati non sono sterili, le condizioni igieniche scarse e le possibilità che la ferita vada infettandosi sono alte.
? Tale pratica non ha una finalità né estetica né medica, ma si tratta di una sorta di “rito di passaggio” che rende la donna adatta a diventare un domani una
buona moglie
. In alcune tribù quelle ragazze che non hanno subito l’infibulazione vengono definite “bikaloro” cioè “prive di ogni maturità”: per una famiglia avere una figlia disonorata è un grave danno, perché porta l’intero clan familiare ad essere estromesso dalla comunità d’appartenenza, ad essere isolato ed a perdere il proprio prestigio. L’infibulazione viene praticata anche come mezzo per conservare intatta la
di una figlia, tanto che in Indonesia un’associazione ha promosso campagne di infibulazione fin dentro le scuole, alzando il livello delle bimbe mutilate al 96%.
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Quali sono le conseguenze fisiche e psicologiche dell’infibulazione
? L’infibulazione priva la donna del
, le rende i rapporti sessuali dolorosi e aumenta in modo esponenziale il rischio di vaginiti, infezioni alla vescica. Quando una donna è stata infibulata è impossibile che un uomo la tocchi, perché il piccolo foro che viene lasciato è utile solo per far disperdere l’urina. Una volta sposata il marito, con un coltello, dovrà tagliare quel pezzo di pelle che gli permetterà di giacere con sua moglie, creando una nuova ferita e nuovo tessuto cicatriziale. Tale esperienza provoca numerosi traumi sia nella bimba che si vede lacerare parte della sua intimità, sia nella donna che diventa mero oggetto nelle mani degli uomini.
Ci sono problemi durante la gravidanza ed il parto
? Le frequenti infezioni che la donna infibulata incontra durante la sua vita possono portare all’
o ad una difficoltà di
concepimento
, sminuendo ancora una volta il valore di tale donna agli occhi del marito e dell’intera comunità.
Se la
gravidanza
si svolge poi in modo fisiologico, è durante il
parto
che si riscontrano i problemi più gravi. Si vede necessario procedere con una deinfibulazione che permette al piccolo di uscire senza lacerare la madre, i tessuti cicatriziali però risultano poco elastici, è quindi possibile che la donna vada incontro a gravi problemi ginecologici, che spaziano dall’incontinenza urinaria e fecale, fino al
in età più avanzata. Dopo ogni parto si deve procedere, secondo la tradizione, ad una nuova infibulazione che riporti la donna al suo stato “pre matrimonio”.Tali operazioni di cucitura e scucitura dei tessuti ad ogni parto creano dei fastidi enormi, un trauma psicologico qualora l’infibulazione non riesca bene e ci siano delle cicatrici poco attraenti per gli occhi del marito.
Il problema Italiano
Le ondate migratorie di questi ultimi anni hanno portato ad una massiccia presenza di donne che hanno subito l’
infibulazione
nel loro Paese d’origine, tra di esse si annoverano le piccole che sono state adottate da genitori italiani, ma che già prima dell’
avevano subito una mutilazione. Signore e bambine che una volta giunte qui si devono scontrare con una società come la nostra, che giustamente condanna e disapprova ogni sorta di mutilazione genitale che non abbia fini medici, ma che sia un semplice
retaggio culturale
.
Il
ginecologo
o l’
che le seguirà durante una gravidanza si troverà davanti non pochi problemi, la cucitura della vulva rende difficili le visite interne e l’ecografia transvaginale, ma è sempre il momento del parto a suscitare maggior scalpore: la donna infibulata, o i suoi parenti, solitamente richiedono che si proceda per la scucitura dei tessuti durante il momento del travaglio, ma che si proceda poi, a parto avvenuto, ad una ricucitura totale.
Si palesa qui il dissenso dei medici italiani che non possono accettare di creare inutile sofferenza in una donna. Sulla stessa linea di principio si schierano coloro che cercano di estirpare le mutilazioni clandestine che ancora oggi si praticano sulle figlie di molte immigrate, dato che non è possibile effettuare l’
infibulazione
sotto controllo medico, ci si è attrezzati
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per farlo a casa, o in ambulatori clandestini previo pagamento di un’ingente somma di denaro. Secondo
Aldo Morrone
, direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle
e per il contrasto delle malattie nella povertà, ogni anno sono circa 2000-3000 le bimbe residenti in Italia che rischiano di essere infibulate, è importante quindi far conoscere alle famiglie d’origine, provenienti da Paesi dove la pratica dell’infibulazione è ancora molto forte come la fascia sub – sahariana, Egitto, Sudan e Corno d’Africa, che la legge n.7 del 2006 vieta ogni forma di mutilazione e che prevede l’arresto fino a 12 anni per parenti o personale sanitario che attui tale pratica. In questi casi risulta fondamentale la presenza di un bravo
mediatore culturale
che sappia far capire alla famiglia d’origine che l’onore, il rispetto ed il valore di una figlia non si valutano in base al suo essere o meno infibulata, ma da tutta una serie di
valori
che i genitori le andranno ad
. La Lombardia è la regione che presenta il maggior numero di casi di donne infibulate, con Milano in testa. La Lombardia si è unita a Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Puglia e Sardegna dando vita alla creazione di strutture sanitarie dove è possibile ricoverare le donne e le bambine che hanno subito
mutilazioni genitali
e procedere con la deinfibulazione che consiste nella riapertura della ferita originaria e la successiva ricostruzione dei tessuti mutilati.
E’ importante parlare di infibulazione e far conoscere a tutti in cosa consista tale pratica e i problemi che può causare in una donna: facendo fronte comune sarà possibile un domani estirpare le mutilazioni genitali femminili dall’intero pianeta.
Chiara Zambelli