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Gelosa del proprio figlio

di Emmanuella Ameruoso - 27.02.2015 Scrivici

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Il legame tra madre e bambino ha caratteristiche molto particolari. È possibile che una mamma sia gelosa del proprio figlio quando questi dichiara la sua preferenza per la compagnia del papà?

Mio figlio è più attaccato al padre

Sin dai tempi più remoti, la donna ha sempre manifestato piena cura e dedizione per i propri figli anche in assenza dell'altro genitore. Ma con l'andar del tempo si è data invece molta importanza al ruolo indispensabile che il padre ha nella crescita della prole. Sovente le mamme soffrono di un attaccamento tale che le porta a mostrare una gelosia arcaica nel momento in cui il piccolo ricerca la compagnia del papà.

Nonostante passino molto tempo con i figli, soprattutto durante i primi mesi della crescita, al rientro dal lavoro è l'uomo ad ottenere tutte le attenzioni possibili fino a divenire il "preferito". Ed è in questi frangenti che la donna si pone mille domande, vivendo anche una sensazione di angoscia, di rabbia e di malessere legati alla prospettiva di perdere l'affetto del figlio.

La ricerca di centralità, definita anche come Sindrome della leonessa, ha l'esigenza istintiva di proteggere la propria prole e assicurare la sopravvivenza dei cuccioli. Per questo, tutto ciò che è estraneo al rapporto madre-figlio viene rifiutato in quanto non risponde alle esigenze materne. Gli amici, i parenti e anche il padre vengono volontariamente esclusi dalla relazione poiché la mamma mantiene un ruolo di dominio vivendo qualsiasi "intervento" come una possibile "minaccia". Ed ecco che difficilmente lascerà andare il proprio bimbo tra le braccia di gente estranea per via "dei virus o batteri che potrà contrarre", o sarà gelosa delle attenzioni che gli altri riverseranno nei suoi confronti poiché saranno percepite come un modo per sottrarne l'affetto.

L’attaccamento si sviluppa sin dalla prima infanzia e deriva dalle relazioni con le figure di riferimento.

La tipologia di legame affettivo condizionerà fortemente la modalità relazionale del soggetto. Uno studio specifico dell’ormai noto psicoanalista Bowlby (1972) ha potuto distinguere l’attaccamento sicuro da quello insicuro e ambivalente, con la successiva integrazione, ad opera della Main (1985), di quello disorganizzato. Tale distinzione và fatta in merito al legame primordiale tra genitrice e figlio che poi verrà riversato nelle relazioni future una volta che il soggetto diventerà adulto.

  • Lo stile sicuro permetterà di svilupparsi autonomamente definendo le proprie scelte e le proprie relazioni senza forti condizionamenti familiari;
  • l’insicuro nel quale l’apprensione, l’incertezza su come agire e l’ansia tenderanno ad influenzare la risposta emotiva portando l’individuo alla ricerca continua di attenzioni e rassicurazioni anche nei rapporti più intimi;
  • l’ambivalente nel quale la mamma risponderà ai bisogni del bambino con contraddizione, non trasmettendo un messaggio ben definito ma confuso, farà vivere nell’infante, e poi all’adulto, due sentimenti contrastanti e simultanei di “accettazione e appagamento” e “non accettazione e frustrazione”.
  • Il disorganizzato propone un’affettività schizofrenica nella quale il soggetto avrà difficoltà a percepire i propri confini da quelli dell’altro. Un legame esigente tende pertanto a riproporre la condizione simbiotica vissuta dalla donna durante la gravidanza e nella quale una distinzione tra le due entità non è propriamente definibile.

É col parto, con lo svezzamento e con lo sviluppo del bambino che il processo di separazione tra i due procede. In questi frangenti, si ripropone lo stile di attaccamento che il soggetto ha appreso durante la sua crescita. Per cui, tutto ciò che contrasta col sentimento primordiale tende ad essere percepito come minaccia al rapporto.

Ma cosa fare?

  • É bene lavorare sugli aspetti castranti del proprio stile di attaccamento sia per favorire un’evoluzione affettiva più matura dell’individuo, in questo caso della mamma, che per stimolare l’indipendenza e l’autonomia emotiva del bambino.
  • È opportuno incoraggiare il rapporto tra padre e figlio poiché il ruolo che quest’ultimo assumerà da adulto sarà rappresentato interiormente proprio da questa figura significativa. È infatti risaputo che il papà permette di separare i confini tra genitrice e figli, recidendo il “cordone ombelicale” e orientandoli alla propria autoaffermazione.
  • Essendo le funzioni dei genitori complementari, laddove una donna dovesse essere affetta dalla Sindrome della Leonessa, sarebbe adeguato orientarla verso una comunicazione più specifica e profonda con il partner in modo da ridefinire le singole mansioni all’interno della coppia.
  • É altresì vero che la mamma ha un ruolo tendenzialmente nutritivo e definisce le regole educative mentre il padre si occupa dell’attività ludica e ricreativa, pertanto viene vissuto come una figura giocosa: è quindi inevitabile ricercarlo più spesso!
  • Entrambi sono comunque indispensabili alla crescita, per cui è chiaro che siano interessati all’educazione e condividano del tempo, anche individualmente, con i propri figli.

In questo modo è possibile sostituire un atteggiamento escludente con uno di compartecipazione. Difatti, la capacità di inserimento del padre all’interno del nuovo ménage familiare, cambiato già dal periodo della gestazione, dipende da quanto anche lui si mostri sicuro: un comportamento di assoluta ridefinizione del proprio ruolo tenderà a ristabilire gli equilibri.

La separazione comporta sempre una sofferenza, ma se indotta serenamente può agevolare i figli a sviluppare una propria autonomia caratteriale facilitando la realizzazione di un adulto sicuro e consapevole delle proprie scelte.

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