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Ragazza madre e minore non riconosciuto dal padre: quali diritti?

di Damiana Sirago - 13.06.2017 Scrivici

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L'avvocato di PianetaMamma ci spiega quali sono i diritti di una ragazza madre e di un minore non riconosciuto. Ecco cosa fare se il padre non vuole provvedere al mantenimento del figlio

In questo articolo

Diritti di una ragazza madre e di un minore non riconosciuto 

"Buongiorno avvocato. Questa è la mia storia. Sono Alice, ho 31 anni e 10 anni fa ho dato alla luce un bimbo meraviglioso, Francesco. Quando scoprii di essere incinta il mio fidanzato fu così entusiasta che mi promise di sposarmi ma dopo pochissimi giorni cambiò atteggiamento e ci abbandonò. Francesco, sin da piccolo, ha iniziato a chiedermi del suo papà. Chi e dove fosse. Ho sempre risposto con il silenzio alle sue domande ma attualmente sono più insistenti e la mancanza di una figura paterna per lui è diventata inaccettabile. Vorrei quindi chiederLe: attualmente mio figlio può essere ancora riconosciuto da suo "padre"? Anche contro il volere di quest'ultimo? Quali diritti avrebbe? Ed io potrei ricevere rimborso per le spese sostenute finora? La ringrazio anticipatamente".

Per rispondere a tali quesiti è necessario innanzitutto fare un breve excursus circa la normativa di riferimento. Nel gennaio 2013 è entrata in vigore la Legge 219/2012 che prevede all'art.1 che "nel codice civile, le parole figli legittimi e figli naturali, comunque ricorrano sono sostituite dalla seguente: figli". Ciò ha determinato, quindi, la scomparsa del discrimine tra figli legittimi e naturali. La legge citata ha apportato modifiche anche in ordine ai previgenti articoli del codice civile come ad esempio il nuovo art. 315 c.c., che enuncia espressamente che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.

Diritti figli nati fuori dal matrimonio

Nel caso in esame, l’assenza del vincolo matrimoniale non comporta alcuna disparità nei diritti rispetto ai figli nati all’interno del matrimonio. L’uomo che non intende riconoscere il figlio nato da un rapporto di fatto può essere citato in causa dalla madre del bambino o dal figlio stesso divenuto maggiorenne, con la cosiddetta «azione di riconoscimento della paternità» per la quale non ci sono termini.

Lo scopo di tale causa è ottenere, da parte del giudice, l’accertamento della paternità naturale dell’uomo. Se il tribunale accerta la fondatezza della domanda, emette una sentenza che produce gli effetti del riconoscimento. In buona sostanza la pronuncia del tribunale si sostituisce all’atto di riconoscimento che avrebbe dovuto fare l’uomo e determina essa stessa il rapporto di filiazione tra il padre e il bambino. Si tratta della cosiddetta dichiarazione giudiziale di paternità (ossia la paternità dichiarata dal giudice).

Prova della paternità

La prova della paternità viene effettuata attraverso l’esame del Dna. Se il padre rifiuta di sottoporsi al prelievo del sangue il suo comportamento viene considerato una sorta di ammissione di responsabilità e tanto basta al giudice per dichiarare la sua paternità. La Cassazione ha infatti chiarito a riguardo che il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile da parte del in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi assolutamente certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti.

È dunque inutile per l’uomo (se non addirittura controproducente) non collaborare pienamente all’accertamento giudiziale della paternità. La dichiarazione giudiziale (di paternità o maternità) di cui all’art. 269 c.c. è indispensabile per consentire la produzione di tutti i suoi effetti.

Dichiarazione di paternità e mantenimento

Pertanto la sentenza dichiarativa della filiazione, che dovrà essere emessa, andrà a dichiarare la paternità (riguardo al minore) e gli effetti scaturenti, anche di natura economica, avranno efficacia dalla nascita del bambino e fino al momento della sua indipendenza economica (un momento che può essere anche successivo al compimento dei 18 anni). Per quanto riguarda la questione economica (“rimborso per le spese sostenute”) è pacifico che dalla nascita del figlio (e NON dall’atto di riconoscimento o dalla domanda giudiziale) vi è l’obbligo al mantenimento.

Ma è chiaro che siffatto obbligo diventa tale solo in seguito a sentenza che accerti la paternità.

Una ragazza madre, quindi, può esigere che l’uomo le dia i soldi per provvedere a far crescere il bambino. Com’è chiaro, la sentenza dichiarativa di paternità produce effetti anche sul diritto del genitore (in questo caso della madre), che ha adempiuto nel corso degli anni all’obbligo morale e materiale di supporto al figlio, di ottenere la restituzione di quanto versato pro quota. Pertanto quest’ultimo, sulla base della sentenza dichiarativa di paternità, potrà poi agire per ottenere la restituzione si parte delle somme versate a fronte del mantenimento del minore, nonché ottenere un assegno di mantenimento per il futuro, sino all’indipendenza economica dello stesso. L’obbligo di mantenimento ricade su entrambi in genitori, ma in proporzione alle rispettive capacità economiche. Il fatto che l’uomo sia senza reddito, disoccupato o con stipendio basso non lo giustifica dal trovare una occupazione che gli consenta di versare il mantenimento al figlio. Diversamente risponde del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

E se il padre non vuole provvedere al mantenimento del figlio?

Se il padre non vuol provvedere al mantenimento del figlio, la ragazza madre può agire nei suoi confronti in due modi: con una denuncia ai carabinieri e con un ricorso al giudice civile affinché quantifichi l’importo da versare in favore del figlio. Nel caso in cui, anche all’esito della condanna, il padre non voglia provvedere al mantenimento, contro di lui potrà essere promosso il pignoramento. Per quanto concerne i rapporti tra genitori e figlio minore riconosciuto, l’art 315-bis c.c. riconosce espressamente a quest’ultimo il diritto ad essere assistito moralmente dai genitori ed impone ai genitori, oltre al dovere di mantenimento, istruzione ed educazione, anche quello di assistenza morale, nel rispetto delle capacità del minore e delle sue inclinazioni personali.

E’ di tutta evidenza che quest’ultimo “onere genitoriale” è posto a tutela del pieno sviluppo comportamentale e psicologico del minore stesso. Essendo un diritto a tutela del minore, ove l’incontro con il genitore “assente” dalla nascita sia di utilità per lo stesso, oltre che, come detto, un suo diritto, il Giudice potrà imporre al genitore che ha “appena riconosciuto” un dovere di visita. Mi premetto, però, di suggerire che è sempre più auspicabile che i genitori del minore trovino un accordo in merito in modo tale da contribuire a rendere sereno lo sviluppo morale e affettivo dei figli.

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