Centri estivi non accessibili: l'accusa
Diversi centri estivi italiani di fatto non sono inclusivi per i bimbi con disabilità. Durante il mese del Disability Pride, l'Associazione Pepitosa in carrozza, da sempre attiva per il rispetto dei diritti delle persone con disabilità, racconta in questo modo la realtà italiana.
Dovrebbe essere priorità istituzionale risolvere, dalle Amministrazioni comunali fino al Parlamento, con la presa in carico del tema da parte della Ministra alla disabilità, avv. Erika Stefani.
In questo momento tantissimi bambini frequentanti i centri estivi, finiranno le ore educative, messe a disposizione dai Comuni con la conseguenza che fino a settembre non avranno possibilità di socializzare continuando le proprie attività in mezzo ai coetanei.
I centri estivi sono un'occasione di socialità
La fine della scuola rappresenta per troppe famiglie un salto nel buio per le attività dei propri figli, a maggior ragione se hanno una disabilità. Per questo i centri estivi rappresentano un'ottima continuazione di socialità: è deleterio per il percorso di apprendimento di molti bambini, soprattutto con disabilità intellettive, rimanere non stimolati durante tutto il periodo tra la fine e l'inizio della scuola.
Tantissimi bambini però non riescono nemmeno ad accedere ai centri estivi per problemi burocratici (o di natura strutturale). Ad oggi in tantissimi centri estivi comunali, le famiglie si devono accontentare dell'offerta di ore di educativa ad personam, proposta che il più delle volte, non rispecchia l'effettiva esigenza, perché non è garantita la possibilità di poter scegliere di iscriversi per la frequenza desiderata e non per quella imposta dalle Amministrazioni, in nome di regolamenti discriminatori. Si parla di monte ore da non sforare per mantenere la gratuità del servizio, tempistica nettamente inferiore alla frequenza degli altri coetanei: non tutte le settimane o tutte le ore giornaliere come gli altri.
Il centro estivo non rientra nell'educativa obbligatoria, come la scuola, quindi è soggetto a regolamentazione territoriale, ma il buon senso sembra essere sopraffatto dalla pura economicità. Contrariamente a quanto è presente nei regolamenti attuati da tanti Comuni, non dovrebbe essere dichiarato un monte ore per il servizio di educativa ad personam in un Centro estivo (a maggior ragione se comunale), ma garantito in base alle necessità e alla frequenza, scelta esclusivamente dalla famiglia e non imposta. Inoltre, non dovrebbe essere preteso nessun pagamento per l'educativa extra (oltre il monte ore).
La nostra Presidente Valentina Tomirotti, da sempre attiva per il rispetto dei Diritti della persone con disabilità, ha prontamente contattato l'ufficio anti-discriminazione di LEDHA Milano per un consulto mirato e il verdetto ha confermato l'atto discriminatorio e lesivo dell'applicazione di queste regole non legiferate: "A questo fine, l'ente gestore deve adottare tutte le misure e gli accomodamenti ragionevoli necessari a garantire loro un'adeguata frequenza e partecipazione al centro su base di uguaglianza con gli altri, anche attraverso le eventuali figure e/o l'assistente di supporto specializzato, se necessari, senza l'imposizione di alcun onere ulteriore rispetto agli altri".
I Comuni non possono rifiutare l'iscrizione di un bambino con disabilità o limitarne la frequenza, dichiarandosi non in grado di garantire l'assistenza necessaria per permettere la sua piena inclusione. Per non porre in atto una discriminazione sanzionabile ai sensi della legge n. 67 del 2006, è tenuto a valutare caso per caso, analizzando la situazione e le esigenze specifiche del/la singolo/a bambino/a con disabilità, per decidere quale sia di fatto la sua necessità di supporto.
Alla luce di questo qualsiasi richiesta di contribuzione per usufruire del servizio di assistenza educativa necessario a frequentare il centro estivo configura una grave discriminazione fondata sulla disabilità, e come tale è vietata dalla Legge n. 67 del 2006.
Allo stesso tempo, definire a priori il numero massimo di ore di assistenza, senza che siano valutate le esigenze specifiche del bambino o della bambina con disabilità, costituisce una pratica illegittima e irragionevole, dal momento che il servizio di assistenza costituisce un servizio indispensabile e strumentale alla frequenza in condizioni di pari opportunità, come previsto dall'art. 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Uguaglianza quando si parla di disabilità
"Non è questione solo del mese del Pride per far luce sull'uguaglianza che manca in Italia quando parliamo di disabilità, a qualunque età anagrafica. Parlando di bambini con disabilità pensiamo di cavarcela definendoli speciali, ma poi al momento della pratica, dell'agire, del fare qualcosa che migliori la loro esistenza, da speciali si trasformano in pesi sociali", sono le parole di Valentina Tomirotti, attivista e Presidente dell'Associazione.
"Qualche Comune si è sentito chiamato in causa dalla mia presa di posizione: qualcuno ha aggiustato il proprio Regolamento comunale lasciando libertà di frequenza e supporto completo gratuito dell'educativa ad personam, ma altri stanno facendo finta di niente, rimandando all'anno prossimo o specificando che hanno comunque a cuore il bene delle persone con disabilità. Improvvisamente sento la frase: abbiamo a cuore le persone con disabilità con investimenti e progetti, ma poi si perdono sugli aspetti più banali, non può esistere che si taccia sulla discriminazione, soprattutto di minori. E' tempo di rivendicare un sistema di reale inclusione, che permetta a questi bambini di frequentare i campus estivi come tutti gli altri coetanei e di genitori rispettati per il loro ruolo".