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Bambini ingaggiati online come promoter: i “brand ambassadors”

di Redazione PianetaMamma - 23.02.2010 Scrivici

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Bambini reclutati come promoter di merendine e altri prodotti industriali preconfezionati. Scenario della discussa trovata di marketing, il Regno Unito

Venticinque pound a settimana per promuovere junk food, ovvero cibo-spazzatura: questa in sostanza, non senza il suo bel putiferio di polemiche, la proposta che un sito internet britannico - tale

Dubit

– serve ai suoi giovani, giovanissimi navigatori. Un’offerta reale e di fatto già più che mai attiva: si calcola infatti che gli iscritti, finora, rientrino abbondantemente nell’ordine delle centinaia di migliaia, cosa che ha scatenato l’ira funesta di genitori di ogni dove, scagliatisi con forza contro quella che può decisamente dirsi

la campagna di marketing in assoluto più controversa del momento.

L’equazione di base è semplice: il bambino, oltre che potenziale consumatore, si presta ad essere anche promotore del prodotto stesso, il che in parole povere significa che reclutarlo per fare pubblicità fra amici e compagni di scuola ha tutte le carte in regola per risolversi in un buon affare. E così è stato: perfino

piccoli di 7 anni, allettati dalla possibilità di ricevere una paghetta settimanale (l’equivalente di circa 28 euro) e i premi che il sito promette, si sono iscritti diventando così “brand ambassadors”, letteralmente “ambasciatori di marchi”

, cioè utenti attivi nel pubblicizzare merendine preconfezionate, patatine e quant’altro attraverso social-networks e, all’occorrenza, vere e proprie feste organizzate in casa appositamente per fare promozione.

Secondo Richard O'Hagan, avvocato per l'infanzia impegnato in prima linea per sollecitare il governo britannico ad approvare con urgenza una normativa al riguardo, quello di Dubit

“è un sistema diabolico”. “Il sito”

- spiega –

“funziona come una grande comunità di bambini e adolescenti. Basta iscriversi, segnalando gusti e preferenze, per cominciare a vedersi recapitare inviti a eventi di promozione, feste con volantinaggio. Gli iscritti possono anche ricevere a casa campioni gratuiti di alcuni prodotti. Il servizio è stato usato per il momento da grandi multinazionali come Mattel o Coca-Cola”.

Un meccanismo che, a pensarci bene, sembrerebbe furbo da più di un punto di vista:

“L'idea di passare per i social networks”  -  continua O'Hagan  -  “è anche un modo perfetto di scavalcare la televisione, un mezzo dove ormai ci sono più controlli e vengono diffusi messaggi salutisti proprio contro il junk food".

La domanda, poi, è anche un’altra:

è giusto permettere ad un bambino che fa la seconda elementare di decidere da solo di partecipare ad una campagna di questo tipo?

A proposito della questione Adam Hildreth, responsabile del sito, ha finora a più riprese precisato a mezzo stampa che

“Dubit chiede sempre l'autorizzazione dei genitori, almeno per chi ha meno di 16 anni. Purtroppo, ma questo non dipende ovviamente da noi, si sono verificati molti casi nei quali i bambini sono riusciti ad aggirare il controllo della famiglia, entrando lo stesso nel circuito dell'agenzia”.

Decisamente più allarmistici, di contro, i toni di Ed Mayo, economista e autore di “Consumer Kids”, volume dedicato ai consumi dell’infanzia e focalizzato, nella fattispecie, sul variegato panorama dello sfruttamento dei minori nel mondo della pubblicità:

“Il fenomeno è dilagante”

– avverte –

“basti pensare che circa mezzo milione di giovani inglesi sono stati reclutati dai marchi produttori. Sono proprio i grandi nomi a cercare in tutti i modi, quasi sempre tramite il web, di far diventare i più piccoli una sorta di ‘promotori’, e la cosa peggiore è che la risposta da parte dei ragazzi si sta rivelando sempre più forte”.

Una strategia discutibile ma di fatto legale, tanto che il numero di aziende interessate a questo tipo di pubblicità, ideale dicevamo per aggirare le norme che limitano gli spot di prodotti non sani, sta crescendo a vista d’occhio, sia dentro che oltre i confini del Regno. “Brand ambassadors”: meteora o marketing del futuro?

Manuela Bianchi

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