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Malumore del padre e conseguenze sul bambino
Il legame affettivo ed il comportamento di entrambi i genitori influenzano allo stesso modo lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Al pari della figura materna, verso la quale il piccolo si rivolge soprattutto tra i primi mesi fino al 6-8° e oltre, anche il padre contribuisce alla crescita divenendo un punto di riferimento indispensabile. È proprio in virtù della sua importanza che il malumore, o eventuali altri disturbi psichici, possono causare problemi nel bambino.
I primi legami affettivi, definiti di ‘attaccamento’, costituiscono per il piccolo dei modelli da interiorizzare divenendo, poi, il suo stesso modo di relazionarsi. Ad ogni richiamo del bambino il genitore, più spesso la mamma e soprattutto i primi mesi, risponde in maniera più o meno idonea soddisfacendo le sue necessità che siano nutritive, di accudimento o affettive. Così il bambino sviluppa la relazione di fiducia sulla quale si appoggia e, crescendo, interiorizzerà tale legame che gli permetterà di sentirsi sicuro quando la figura di riferimento non ci sarà e ciò gli consentirà di districarsi nelle relazioni sociali. È quindi fondamentale stabilire un legame significativo con il proprio figlio, ma soprattutto rispondere coerentemente alle sue esigenze di qualsiasi natura esse siano.
Per quanto i ruoli all’interno della famiglia e della coppia siano diventati interscambiabili, la funzione paterna ha sempre avuto carattere di autonomia e indipendenza. Infatti, all’interno del legame madre-bambino il papà aiuta la sua compagna a distaccarsi dal figlio e a recidere il cordone ombelicale del legame simbiotico che hanno strutturato, permette così, al piccolo, di differenziarsi da lei. Quando il padre è assente o manifesta dei problemi di alterazione dell’umore, la mamma diventa l’unico rifugio sicuro. Allo stesso tempo, la sua problematica ricade inevitabilmente sullo sviluppo emotivo e cognitivo del figlio.
Diversi sono i fattori che possono dar adito al malumore del papà, tra cui gli stressor ambientali e lavorativi, le esperienze emotive particolarmente significative, fattori genetici (ci si riferisce a patologie più importanti) e diversi altri ancora.
Un membro del gruppo, depresso, tende a gravare su tutta la famiglia e non solo sul singolo quale può essere il partner. Chi vive con un soggetto malato o con difficoltà emotive o caratteriali tenderà a influenzare l’umore di tutti i componenti compreso il bambino.
Sintomi quali l’apatia, l’abulia, l’isolamento, l’allontanamento attraverso un atteggiamento di rifiuto del contatto o della relazione, il nervosismo costante che si esplicita con rabbia, aggressività e maltrattamenti non vengono compresi da un bambino in fase di crescita soprattutto se nessuno glielo spiega.
Gli effetti sul bambino: perché papà mi risponde male?
Diverse possono essere le situazioni per le quali un bambino sente di non essere accettato e, di conseguenza, sviluppare una serie di problematiche emotive e cognitive. Il sentirsi in colpa, avere difficoltà relazionali e affettive, sviluppare disturbi del linguaggio sono alcuni dei malesseri che il bimbo può manifestare.
Il caso di Marco
Marco è un uomo di 32 anni che arriva in studio poiché soffre di eritrofobia e ansia. È molto agitato e suda tanto. Si capisce che fatica ad esprimere il suo disagio. Ma il suo coraggio lo spinge oltre. Racconta che sin da piccolo è stato il capro espiatorio dei malumori paterni tanto da soffrire di attacchi di panico e fobia sociale. Ad ogni minimo cenno di frustrazione paterna corrisponde un attacco alla sua autostima e alla sua esistenza. Gli scappellotti e gli insulti non mancano ogni qualvolta cerca di esprimersi liberamente e spontaneamente tanto che la sua capacità di mostrarsi viene fortemente inibita dalle ingiunzioni paterne. Un uomo grande e grosso che lo intimorisce e gli impedisce di crescere emotivamente e cognitivamente. Infatti, già dalle scuole elementari, comincia a soffrire di balbuzie e le sue maestre notano anche una difficoltà nella lettura e nella scrittura.
Ma grazie alla sua ‘intelligenza e forza emotiva’ e ai vari tentativi materni di intervenire a difenderlo, riesce a diventare adulto seppur nascondendosi e ricercando sempre posti isolati e lavori che non lo espongono troppo agli altri.
Ha paura di diventare rosso e ciò gli produce notevole disagio poiché è qualcosa che non può controllare. In quelle circostanze, quando capita, avverte il battito cardiaco accelerato e una vertigine che gli procura una sensazione di perdita di equilibrio. Usa infatti sempre un cappellino con una visiera che gli permette di nascondergli il viso.
Conlusioni: È chiaro che non si arriva necessariamente a casi estremi come questo, ma la sensibilità infantile non si può misurare se non seguendola nella crescita. Durante l’evoluzione della sua personalità, il bambino assimila tutto ciò che lo circonda, in primis il tipo di relazione che i genitori stabiliscono con lui, pertanto tenderà ad esperire gli atteggiamenti e l’emotività dei suoi cari divenendo il suo principale modello affettivo. Se risulta deficitario l’apporto paterno, il suo comportamento risulterà, sul piano sociale, meno collaborativo e manifesterà difficoltà emotive e una scarsa autostima legata alla sua profonda insicurezza. Per usare una metafora, mancherebbe il pilastro su cui poggiarsi e forgiare la propria personalità.
È quindi importante per un genitore, in questo caso un padre, far fronte alle proprie difficoltà in separata sede, magari rivolgendosi ad un professionista e aprendosi sul piano emotivo manifestando le sue difficoltà. È anche vero che non sempre ciò è possibile ed allora è bene spiegare al bambino la difficoltà che in quel momento il genitore sta attraversando, così da renderlo consapevole che ciò non dipende da lui evitando così l’insorgere di sensi di colpa e di vissuti emotivi che lui stesso non riesce a spiegare. All’interno della famiglia è fondamentale mostrar un certo equilibrio e essere un porto sicuro a cui poter ancorare la barca quando si è in difficoltà.