La carica delle mamme in telelavoro
Nonostante i paroloni, le celebrazioni di eventi dedicati alle famiglie o al “concetto famiglia”, la realtà di ogni giorno è tutt’altra cosa.
La realtà quotidiana racconta di tante donne che vengono licenziate da un giorno all’altro e private di un contratto co.co.pro dopo aver comunicato la loro gravidanza.
Racconta di tutte quelle donne che ad un colloquio di lavoro si sentono porre, magari ancora prima delle domande inerenti professionalità e formazione, se intendono fare figli.
Racconta anche delle tante donne che dopo aver avuto un figlio sono costrette ad andare a lavoro dalle 9 alle 18 no stop e lasciare i propri figli in costosi asili privati senza che venga loro concessa l’opportunità di una flessibilità di orari o di un part time.
Ma la realtà racconta anche delle tante mamme che non trovano alcuna solidarietà non solo da datori di lavoro ma anche da colleghi o peggio ancora dalle donne.
Bimba sottratta alla madre, accusata di non voler lavorare
Una giornalista single ha posto l’accento su quanto troppo spesso le venga chiesto di essere flessibile in cambi turno o programmazione ferie per aiutare le colleghe che hanno dei figli. Il tono usato dalla giornalista lascia amareggiati soprattutto perché, al di là delle diversità di impegni che possono esserci nella vita di un single o di una madre (l’impegno con un figlio è forse più serio di uno con un libro? Diamogli pure pari dignità), ciò che emerge è una visione egoista (maschile?) della vita e del lavoro.
Emerge una visione disincantata, cinica ed egoista del mondo-lavoro e del mondo-famiglia che in qualche modo rispecchia la realtà italiana: un’Italia dove, al di là delle parole, tutti (e tutte) preferiscono tenersi “le loro scarpe Manolo Blahnik” (paragone usato dalla giornalista) in nome della parità e degli eguali diritti fregandosene della collega con figli, per quale spesso i diritti non sono che merce di scambio oppure un’utopia.