Mio figlio mi chiama per nome. Mi devo preoccupare?
Mio figlio mi chiama per nome
Il ruolo genitoriale, spesso tanto ambito, ha peculiarità non trascurabili sul piano psicologico quali il riconoscersi attraverso comportamenti specifici definiti col termine parenting come accudire, nutrire, educare, promuovere l'autonomia e vedere giorno dopo giorno il proprio piccolo crescere grazie alla cura che gli viene posta. L'educazione e le regole lo proteggono dall'ambiente, pertanto il ruolo dell'adulto è molto importante. Sul piano strettamente individuale, il riconoscimento di tale ruolo non ha solo riscontri sul piano dell'attaccamento quindi del legame che si struttura tramite la relazione, ma ne deriva anche un'identificazione dal punto di vista soggettivo, familiare, sociale e comunitario.
L'adulto riconosciuto come genitore definisce il suo nuovo compito a livello "planetario": il pronome possessivo "mio", "nostro" (è mio figlio, è nostro figlio!) o "suo" (è suo figlio?) ne fanno comprendere, oltre all'eventuale appartenenza biologica, il significato profondo a cui tale legame ottempera: essere chiamati mamma e papà costituisce quindi una solida affermazione di tale funzione riconosciuta anche attraverso il cosiddetto "linguaggio sociale".
La figura di attaccamento
La figura di attaccamento rappresenta per il piccolo, come ben si sa, un riferimento sicuro a cui ricorrere in qualsiasi momento di difficoltà. Ne consegue che il genitore si identifica in un ruolo che nessun altro possiede. Tale individuazione ha carattere di unicità e permane per tutto il resto della vita.
La lallazione durante i primi mesi, favorisce l'apprendimento delle prime parole quali ma-ma, pa-pa e identifica ognuno del proprio preciso compito. Quando il bambino pronuncia la prima parola per intero "mamma" o "papà" è una gran festa! È così che il piccolo impara a "riconoscere" le sue figure di attaccamento cioè attraverso il linguaggio poiché queste rispondono immediatamente al suo richiamo.
Chiamarli per nome
Può capitare anche che il bimbo impari, col tempo, a chiamare i genitori con il nome di battesimo generando, almeno inizialmente, confusione e disorientamento, in chi, forse, percepisce in quella pronuncia un disconoscimento del proprio ruolo.
Ma le circostanze possono essere tante e molte legate all'età del proprio figlio: durante l'infanzia può succedere che imiti qualcuno che abbia chiamato i genitori per nome e voglia fare lo stesso senza una finalità precisa.
Alcune coppie invece scelgono appositamente di farsi chiamare per nome sia per sentirsi più vicini ai figli soprattutto quando crescono, e quindi tendono ad essere più amici che genitori, sia per sentirsi meno pressati dal ruolo impegnativo di "genitore".
È pertanto molto soggettivo e legato a svariate situazioni.
In adolescenza, per esempio, soprattutto se vi è un rapporto conflittuale, il ragazzo può utilizzare tale modo per contrastare l'adulto nella sua autorevolezza e immiserire il suo ruolo: tutto chiaramente è legato alla fase specifica che l'adolescente e il genitore stanno attraversando. Qualcosa quindi andrebbe rivisto..
A tal proposito, Visentini (2006) identifica le diverse funzioni genitoriali e le suddivide per categorie. Tra queste vi sono:
- funzione protettiva, che fornisce accudimento e soddisfa il bisogno di protezione e sicurezza. Offre cioè una "base sicura" a cui il bambino può sempre rivolgersi per imparare ad esplorare il mondo;
- funzione affettiva, è quella che permette di riconoscere un sentimento condiviso e nutre dal punto di vista emotivo giacché il piccolo si sente accolto, compreso e riconosciuto in quanto il genitore attribuisce importanza al suo sentire. Così impara a esprimersi e a muoversi nell'ambiente manifestando se stesso;
- funzione regolativa, determinata dalla capacità di regolare i propri stati emotivi (auto-regolazione) e le interazioni con gli altri (regolazione interattiva) che il bambino possiede sin dalla nascita ma la cui modalità viene acquisita dai genitori in base alla loro risposta emotiva: in tal senso apprenderà o meno a tollerare e gestire le emozioni negative e sviluppare quelle positive controllando così i suoi stati interni;
- funzione normativa, definita attraverso le regole che il genitore insegna: motivandole permette di comprendere i limiti e di gestire al meglio il proprio comportamento avendo quindi dei punti di riferimento precisi;
- funzione predittiva, anticipa -se vogliamo- la fase di crescita che il proprio figlio sta attraversando così da fornirgli un supporto e accompagnarlo in tale passaggio;
- funzione significante, consiste nella capacità dell'adulto di riconoscere i bisogni del bambino e dargli un senso. Così il piccolo attribuisce un significato al suo comportamento mantenendolo a sé e imparando a relazionarlo al mondo circostante;
- funzione rappresentativa e comunicativa, che dà al genitore la possibilità di riconoscere l'individualità del proprio figlio per come è e non per come vorrebbe che fosse. Un figlio immaginato può essere diverso dal figlio reale, per cui rispettare la sua unicità significa permettergli un'autorealizzazione sia personale sia sociale;
- funzione triadica è legata prevalentemente alla coppia ed alla possibilità che il "terzo" ha di inserirsi senza suscitare gelosie o rivalità. Quando i due genitori accolgono l'altro offrendogli reciprocamente sostegno e spazio entrando in empatia con lui, gli conferiscono un riconoscimento sul piano personale e identitario nonché familiare.
È pertanto relativo come un figlio possa chiamare un genitore soprattutto quando le funzioni di sopra citate sono rispettate e riconosciute anche da lui nonostante lo chiami per nome.