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Il periodo dei no nei bambini
Accade spesso che, intorno ai due anni, i bambini non appaiono più agli occhi dei genitori come accondiscendenti e docili ma, piuttosto, come ribelli e capaci di pronunciare il “no!” con determinazione e fermezza. E’ la fase evolutiva in cui i bambini cominciano sia a prendere consapevolezza del valore del “no” sia ad incontrare una capacità e un’esigenza di affermarsi, di imporsi, di esprimere i propri pensieri e a sperimentare l’autonomia.
Fase oppositiva nei bambini
Questa fase di “protesta” si manifesta con atteggiamenti oppositivi che spesso si declinano in un rifiuto ostinato delle proposte, delle imposizioni e dei limiti stabiliti dalla mamma e dal papà.
Il significato di queste piccole forme di insubordinazione rappresentano un tentativo del bambino di affermare la propria soggettività e rivendicare un proprio primordiale statuto autonomo. È proprio attraverso questi comportamenti di rifiuto e di provocazione che il bambino prende gradatamente confidenza con la propria individualità e, per l’importanza ed il valore relazionale insito nel comportamento alimentare, è molto facile che tale oppositività si scateni al momento dei pasti trovando nella tavola familiare il luogo adatto.
Il bambino a questo punto può mettere in atto tre comportamenti diversi:
- “scioperare” il richiamo a tavola senza interrompere il suo gioco,
- contravvenire alle regole della tavola (cambiare di posto, giocare con le posate, lanciare il cibo…)
- dire “no” all’offerta di cibo, affermando “questo non lo voglio”, diventando così selettivo sul tipo di alimenti da mangiare.
Questa opposizione deve essere compresa dal genitore nel suo significato evolutivo per non compromette il valore dell’autoaffermazione e ostacolare la separazione psicologica. Lo sviluppo del “no” è una tappa fondamentale dello sviluppo psicologico del bambino ed è un’esigenza alla quale è opportuno che i genitori diano una risposta: ciò che il piccolo chiede è di essere riconosciuto, amato e accolto come soggetto, con le sue particolarità!
È importante sottolineare che tale fase rappresenta un passaggio e una transizione e non un atteggiamento caratteriale definitivo del bambino.
Proprio per questo, i genitori dovrebbero riuscire a negoziare l’autonomia del bambino accordando delle eccezioni, preservando tuttavia le regole fondamentali della famiglia. A tavola questo atteggiamento viene promosso dal riconoscimento della facoltà del bambino di avere gusti personali e particolari preferenze in ambito. Risposte oppositive da parte dei genitori possono esasperare la protesta trasformandola in un rifiuto; l’insistenza genitoriale, anche alimentare, genera e produce resistenza da parte del bambino.
Una costrizione aggressiva a tavola e delle scelte educative che violano l’espressione della libertà, possono far scivolare l’atto conviviale della tavola in atto ostile, schiacciando così la logica relazionale della tavola. L’imposizione genitoriale può rischiare di acuire la rigidità del figlio, suscitando talvolta suscitare disgusto, vomito (che è una forma viscerale di rifiuto) o inibizione alimentare. Accade che tali piccole proteste possano riguardare l’alterazione di altre funzioni fisiologiche come, ad esempio, il sonno o il controllo sfinterico: il bambino, dicendo “no”, impone i suoi tempi e le sue modalità. Occorre quindi che i genitori, sensibilizzati rispetto a tali temi, possano rispondere accogliendo le prime esigenze soggettive che i bambini sperimentano e rispetto alle quali chiedono conferma: “Non sono più un piccolo solo da accudire, sono un soggetto da amare…con le mie particolarità!”