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I genitori troppo presenti e protettivi fanno male ai figli

di Emmanuella Ameruoso - 22.12.2016 Scrivici

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Fonte: shutterstock
La psicologa conferma che essere genitori troppo presenti ed eccessivamente protettivi nei confronti dei figli li rende insicuri in età adulta

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Genitori troppo presenti

Essere genitori troppo presenti e iperprotettivi salva i figli dalle esperienze negative della vita? In realtà no. Essere un genitore che protegge continuamente il proprio figlio potrebbe essere, al contrario, deleterio per lui.

Genitori iperprotettivi, le conseguenze

Proteggere un bambino significa essere presente in ogni dunque e in ogni dove: al suo risveglio, quando ha fame, quando piange e ha bisogno di essere accudito o cambiato. Il genitore è una figura di riferimento che rappresenta un rifugio, una presenza costante a cui rivolgersi quando si è in difficoltà, per ricevere affetto e attenzioni, per crescere strutturando dentro di sé fiducia e certezza dinanzi alle situazioni della vita. Non ha quindi solo una funzione nutritiva ma anche relazionale. Sostenere equivale a consolare, a contenere, ad aiutare il piccolo a gestire le sue paure e le sue emozioni.

Egli inizia sin da subito ad esplorare l’ambiente attraverso i grandi e tramite la loro presenza sviluppa sicurezza nelle sue capacità e struttura e definisce la personalità. Iperproteggere evidenzia, invece, il prestare un’attenzione eccessiva, orientando il comportamento dell’altro verso una direzione piuttosto che lasciarlo libero di manifestarsi in maniera spontanea. Se un bambino produce naturalmente un’azione, e il genitore accorre, il messaggio che passa è quello di mettere in discussione il suo operato: - “non essere sicuro” o “non essere capace”, - “non avere certezza che ciò che fai sia giusto”, - “non hai il permesso di sentirsi libero di fare”, - “non puoi sbagliare o tentare”, - “sei fragile ed indifeso”.

L’iperprotezione è inevitabilmente un modo dell’adulto di esorcizzare le proprie paure riversandole sull’altro. Il bambino diventa cioè un “contenitore”, una proiezione di ciò che egli vive a livello emotivo. Molto spesso la mania del controllo e della gestione sottende delle insicurezze molto profonde. In tal modo il genitore depriva il proprio figlio delle capacità decisionali rendendolo schiavo della propria esistenza.

A lungo andare, la difficoltà che inevitabilmente incontrerà nel suo percorso, e quando arriverà il momento di allontanarsi da casa, lo condurrà ad una tangibile sofferenza con manifestazioni di ansia e depressione. Quando tenterà di percorre una strada diversa da quella ‘proposta’ o nel tentativo di diventare autonomo sul piano personale non si sentirà in grado di farlo da solo. L’autoaffermazione sarà deficitaria allorché verrà meno chi fino a quel momento ha optato per una forma di iperprotezione con il fine di preservare il proprio figlio da delusioni e paturnie.

Quando i genitori sono troppo invadenti

Essere troppo invadente implica per un bambino il non riuscire a ben delimitare i propri confini e il non sentire di aver diritto ad una propria intimità e ad un proprio spazio percependo, invece, che la sua esistenza è legata inevitabilmente a qualcun altro: tale atteggiamento sarà per lui ‘normale’. “Se invado il tuo territorio ti considero totalmente parte di me e non ti permetto, allo stesso tempo, di differenziarti, non considerandoti un individuo separato da me’. Il legame viene inglobato in una simbiosi patologica che, nei casi più gravi, conduce alla psicosi. L’invadenza irrimediabilmente produce degli scompensi interiori, dei conflitti, delle emozioni sotterranee di rabbia e frustrazione poiché ad ogni tentativo sano del figlio di porre dei limiti ai suoi cari, emergerà il senso di colpa. Ciò inoltre darà forma ad una struttura di personalità dipendente che chiederà sempre agli altri di fare al posto suo o comunque reclamerà consolazione e protezione per paura che possa succedere qualcosa. Molti dei problemi legati all’alimentazione dipendono da questo tipo di dinamiche familiari. 

Padri troppo protettivi

La figura del padre ha un’importanza notevole nella crescita dei bambini. Sia di protezione, di rassicurazione che di definizione all’interno della relazione tra madre e figli.

È proprio lui, infatti, che separa i bambini dalla mamma rendendoli indipendenti dal legame. Ma ciò, non è sempre lineare dato che la presenza eccessiva può rasentare il possesso e l’ossessività. E allora si comprende quanto quest’uomo non sia capace di gestire la crescita di una ragazza, per esempio in fase adolescenziale, o l’eventualità di una sua differenziazione dalla famiglia. Sta infondendo cioè in lei l’idea che gli uomini debbano comportarsi in quel modo e lei, da adulta, ricercherà un compagno che si comporterà in maniera analoga. La sua sarà quindi dipendenza da una figura paterna, e maschile, protettiva e rassicurante, cosa che non rende propriamente autonomi sul piano affettivo-relazionale.

Conseguenze di una mamma apprensiva

Analogamente avverrà per il bambino con una madre onnipresente: il famoso complesso di Edipo si strutturerà nel ragazzo che andrà alla ricerca di una donna con le stesse caratteristiche della madre. Ma non solo. Una ragazza con una figura materna apprensiva crescerà ansiosa e avrà paura di ogni cosa. Una donna iperprotettiva crescerà un individuo insicuro e inficiato nella propria autostima. Chiederà sempre conferme e indugerà nelle scelte autonome. ‘Stai attenta a non farti male’, ‘Non uscire perché è pericoloso”,’Verrò io a scuola a parlare con i docenti’ e così via..

Genitori troppo ansiosi

Essere troppo in ansia per i propri figli significa defraudarli della loro infanzia e autonomia soprattutto in termini psicologici. È infatti vero che la preoccupazione di un adulto è soprattutto legata a fattori personali più che a cause esterne. L’esplorazione dell’ambiente da parte di un bambino è fondamentale per stimolare la sua crescita intellettiva ed emotiva. Di fronte alle difficoltà scolastiche o di relazione con i compagni, i bimbi imparano a difendersi dagli altri e, da adulti, affronteranno le situazioni in maniera adeguata alle circostanze. Quando un genitore si accorge che qualcosa non va dovrebbe cercare di valutare attraverso gli occhi del bambino ed entrare in empatia con lui cercando di capire se è necessario intervenire o può invece affrontare - o tentare di farlo- la situazione da solo.

Quale conseguenza? Proteggere il bambino da ogni singola fatica, impegno o disagio comporta per quest’ultimo una rinuncia sul piano esperienziale. Vive male la frustrazione poiché abituato a essere soddisfatto ad ogni sua lacrima o capriccio, o parimenti, a non agire poiché in tutte le situazioni c’è chi lo fa per lui. Crescendo iniziano le difficoltà: manifestazioni di ansia, attacchi di panico, fobie, che potranno presentarsi già in tenera età e avranno la meglio sulla sua intrinseca necessità di allontanarsi dalle figure di riferimento.

Che fare?

Piangere ha un senso specifico. Il bambino richiama attraverso questa modalità la mamma, o chi si prende cura di lui, quando ha fame o per essere accudito, coccolato. Ma capisce anche che può essere una buona ‘strategia’ per ottenere più attenzioni, per essere soddisfatto in tutte le sue necessità e per appagare i suoi capricci. Ciò significa che crescendo tollererà male gli insuccessi quando non otterrà ciò che vuole. Avrà difficoltà ad impegnarsi nelle situazioni di vita e, cosa più importante in assoluto, manifesterà un attaccamento morboso nei confronti di chi gli starà vicino presentando una serie di insicurezze che faranno parte della sua personalità. È quindi importante calibrare la protezione e l’appagamento dei desideri infantili con una buona dose di ‘negazioni’ poiché non tutto si può fare ma, soprattutto, dovrà imparare da solo a sbagliare, a cadere e rialzarsi senza paura e con la consapevolezza che i genitori sono accanto a lui pronti a sostenerlo.

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