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Il legame tra cibo e affetto
Sin dai primi giorni di vita, i neonati sviluppano un profondo legame tra il cibo e l'affetto, perché il latte e via via le altre pietanze non solo soddisfano una necessità fisica (la fame), ma esprimono anche la risposta delle figure di riferimento alla domanda d'amore dei piccoli, attraverso il contatto, gli sguardi e le espressioni facciali che si realizzano durante l'allattamento e il pasto in generale. Tuttavia, quando questa associazione tra nutrimento e amore diventa confusa o sbilanciata (con l'alimento che diviene risposta a ogni questione e con un vuoto che viene erroneamente attribuito allo stomaco), può avere un impatto significativo e talvolta duraturo sul rapporto di un individuo con il cibo, conducendolo a utilizzarlo, ad esempio, come meccanismo di consolazione ed emotiva gratificazione.
Esiste solo un tipo di obesità? Le tipologie
Nella società contemporanea, l'obesità è un fenomeno in costante aumento, coinvolgendo sempre più i bambini e gli adolescenti. La gestione e la classificazione dell'obesità in età evolutiva sono tuttavia complesse, a causa delle significative variazioni fisiologiche che caratterizzano questa fase della vita.
Indipendentemente dall'età in cui si sviluppa, l'obesità può comunque essere suddivisa in diverse tipologie ed essere egosintonica (in accordo con il sentire del soggetto) oppure egodistonica (una condizione in cui la persona non si ritrova):
- Obesità endogena: questa forma di obesità è causata da fattori biologici o patologie organiche, come disfunzioni del sistema endocrino o predisposizione genetica che influenzano il metabolismo e possono portare a un significativo aumento di peso.
- Obesità esogena: in questa categoria, il disturbo è principalmente attribuito a comportamenti alimentari scorretti e a uno stile di vita poco salutare, come la sedentarietà.
- Obesità psicogena: questa forma di obesità è legata all'uso del cibo come modalità per affrontare un malessere interiore o difficoltà emotive.
Talvolta l'atto alimentare può quindi diventare una via di fuga dalle emozioni negative, innescando un circolo vizioso in cui le sensazioni di impotenza e frustrazione possono rendere difficile il controllo nel momento dei pasti.
Combattere la stigmatizzazione sociale e gli stereotipi negativi
La stigmatizzazione sociale e gli stereotipi negativi associati all'obesità, come la pigrizia e la mancanza di forza di volontà, possono inoltre ostacolare la possibilità di affrontare la situazione in modo efficace e ottenere il supporto necessario. È fondamentale, in questo senso, riconoscere il disagio che le persone obese vivono e che manifestano attraverso quello che la Dott.ssa Pamela Pace – psicoanalista, psicoterapeuta e Presidente dell'Associazione Pollicino – descrive come un "corpo corazza" che, paradossalmente, subisce e al contempo protegge dall'osservazione giudicante degli altri.
In conclusione, è cruciale che chiunque soffra di obesità possa esprimere il proprio malessere, qualora presente, attraverso la parola. Come sottolinea la Dott.ssa Pamela Pace nel testo "La parola muta. La sofferenza del soggetto obeso" (Edizioni San Paolo, 2017): «È necessario porre l'accento sulla sofferenza muta, non semplice da comunicare perché fuori dai riflettori sociali e dall'interesse sanitario, focalizzato sulla riabilitazione di un comportamento alimentare scorretto e di un peso adeguato». Appare quindi indispensabile non banalizzare la condizione che il soggetto vive ma piuttosto rivolgere «uno sguardo che ascolti» per mettere in luce la profonda sofferenza e affiancare al trattamento medico, spesso centrato sull'aspetto fisico, un'attenzione psicologica che dia spazio alla parola.