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Esiste una confusione d’identità di genere nei bambini?

di Emmanuella Ameruoso - 15.12.2015 Scrivici

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Quando si può presentare una confusione nei bambini rispetto alla propria appartenenza di genere? La psicologa ci spiega come affrontare i disturbi dell'identità di genere nei bambini

Disturbi dell'identità di genere nei bambini

L’identità di genere si definisce durante i primi anni di vita. Ma è possibile che si manifesti una confusione nei bambini rispetto alla propria appartenenza di genere? Alcuni autori (Chodorow, 1974) attribuiscono importanza all’ambiente nel quale vive il bambino. Nei primi tre anni di vita generalmente il piccolo vive a contatto con la mamma e le dinamiche che si strutturano tra i maschi e le femmine rispetto a tale rapporto sono differenti. Mentre le figlie si identificano nella genitrice e vivono la formazione della loro identità attraverso l’attaccamento, i figli si distinguono dalla madre identificandosi invece col sesso maschile (in questo è molto importante la presenza del padre) per cui il loro sviluppo comporta un processo più marcato per affermare i propri confini.

Secondo la Chodorow, quindi, l’identità di genere maschile è definita attraverso la differenziazione dalla figura materna con la quale qualsiasi tipo di intimità tende a minacciare la propria mascolinità, mentre l’identità di genere femminile che si basa sull’attaccamento è messa a repentaglio rispetto alla sua individuazione dalla separazione. Kohlberg (1969) sottolinea l’importanza di poter assumere ruoli diversi. Ma esiste sempre una componente di disuguaglianza tra i giochi maschili e quelli femminili che riguardano la competitività nel primo e la collaborazione nel secondo caso. Ma spesso la confusione non riguarda soltanto i giochi e tende a manifestarsi nelle crescita in maniera sempre più evidente.

E allora, cosa fare? Come comportarsi se un bambino desidera indossare abiti femminili o si identifica col sesso opposto?

Secondo Erikson (1980) è durante il periodo adolescenziale che si sviluppa la cosiddetta “confusione di identità” ma alcuni studiosi hanno approfondito il tema in relazione a età differenti, cioè durante la prima infanzia.

Peggy Cohen-Kettenis -docente di psicologia presso la Vrije Universiteit di Amsterdam e responsabile del Gruppo sui Disturbi dell'Identità di Genere (DIG) del Dipartimento di Psicologia del Centro Medico della stessa Università- è considerata una tra i maggiori esperti internazionali di transessualismo e suggerisce di valutare diversi aspetti sui bambini con età inferiore ai 12 anni, in particolare se il bambino è "normale" o è transessuale. In ogni caso il Dipartimento offre sostegno sin dall’inizio alla coppia genitoriale.

Ma i fattori che maggiormente vengono presi in considerazione per verificare se si tratti di un disturbo dell’identità di genere (DIG) o altro sono principalmente i seguenti:

  • Disturbo reattivo. Il bambino manifesta un DIG come reazione ad eventi traumatici quali un abuso sessuale.
  • Comorbilità psichiatrica. Prima di diagnosticare un DIG è necessario capire se il piccolo non sia affetto da un altro disturbo (per esempio disturbo di personalità).
  • Patologia familiare. Verificare che in famiglia non ci sia un disturbo clinico per il quale il DIG risulta essere secondario alla patologia già presente nel nucleo d’origine.
  • Tipologia di comportamento DIG. È necessario valutare contenuto e qualità del comportamento poiché potrebbe essere presente un solo sintomo ossia l’avversione per le caratteristiche del proprio sesso (criterio B) piuttosto che una forte identificazione con il sesso opposto (criterio A). In quest’ultimo caso è palese l’importanza che ha il criterio di tipo A poiché è chiaro che il processo identificativo è alla base di un disturbo dell’identità di genere.

Ma prima di arrivare a diagnosticare un’eventuale “confusione di identità di genere” bisognerebbe cogliere dei comportamenti espliciti nel bambino tali da richiedere un intervento di valutazione specifica. In ogni caso è bene non affrettarsi nelle conclusioni o preoccuparsi in maniera eccessiva poiché crescendo i bambini, come in molti casi, manifesteranno diversamente le proprie propensioni sessuali.

È quindi importante non rinforzare, in un senso o nell’altro, tale comportamento. È chiaro però che i genitori devono necessariamente stabilire dei limiti ossia permettere al bambino di giocare con le bambole o vestirsi da femminuccia solo in determinati contesti (per esempio a casa) e non in altri poiché il gioco, come la necessità di indossare abiti differenti dai propri, possono essere strettamente legati ad una fase della vita che non necessariamente tenderà a persistere.

In genere colpisce il fatto che i genitori siano estremamente preoccupati che il figlio possa sentirsi ferito se gli proibiscono di vestirsi in modo cross-gender o ad esempio se gli negano la possibilità di giocare con le bambole. Bisogna spiegar loro che non bisogna permettere al figlio di fare tutto ciò che vuole. Bisogna spiegare ai genitori che ci sono periodi in cui è importante che il bambino giochi con le bambole, se però è veramente importante per quel bambino in quel determinato periodo. Ma è opportuno che comprendano che il bambino non può vestirsi da femminuccia quando è fuori, per strada, a scuola. Non è difficile far capire che possono permettere al figlio di farlo a casa, ad esempio, ma non fuori, per strada. Devono cioè imparare a stabilire dei limiti al comportamento del figlio. Molti genitori non ne sono capaci e lasciano fare al bambino tutto ciò che vuole. E questo potrebbe esser molto pericoloso, sia per la probabilità di essere discriminato dai coetanei sia perché il bambino potrebbe cambiare nel corso dello sviluppo e sarebbe umiliante per lui ricordare, o che qualcuno glielo ricordi, che da piccolo girava per strada vestito da femminuccia. (Peggy Cohen-Kettenis “Disturbi dell’identità di genere” )

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