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Bullismo dei genitori
Carlo ha 35 anni quando decide di intraprendere un percorso di psicoterapia. Sin dal primo incontro mostra segni di forte inibizione relazionale, soffre infatti di fobia sociale. Si intravede il suo viso parzialmente poiché nascosto dalla visiera del suo cappello, non sopporta di essere osservato dagli altri. Si vergogna e diventa rosso se qualcuno si rivolge a lui per parlare. Racconta che da piccolo suo padre lo offendeva in tutte le maniere, dandogli scappellotti ogni qualvolta cercava di rispondere o dire la sua. Non gli era permesso parlare, non gli era permesso esistere. Dinanzi agli altri adulti lo derideva, lo prendeva in giro e lo offendeva. Lo considerava un inetto, un incapace e mostrava nei suoi confronti sufficienza. Suo padre abusava di alcool e Carlo ha assistito ad atti di violenza nei confronti della mamma e della sorella fino a quando sono rimaste a casa, ma dopo la separazione, meglio definita come una fuga, loro sono andate via e lui è rimasto per proteggerle, per evitare che lui le trovasse.
Descrive il padre come una persona insoddisfatta ed infelice per la sua incapacità di gestire le relazioni e assumersi la responsabilità della famiglia. Quando si parla di violenza domestica ci si riferisce anche al tipo di violenza sottesa, invisibile agli occhi ma tanto incisiva: i maltrattamenti, le offese e le ingiurie nei confronti dei figli rientrano nell’ambito degli abusi psicologici.
È quindi chiaro che i genitori possono manifestare forme di bullismo nei confronti dei bambini ma queste forme sono meno conosciute ed evidenti rispetto a quelle fisiche come l’aggressività e le percosse poiché più visibili.
Cosa significa
Il termine bullying, di derivazione inglese, indica una situazione di relazione nella quale c’è un prevaricatore e una vittima che subisce. Questa dinamica propone quindi un aspetto saliente di un’azione che suscita una reazione, in quanto in base al tipo di risposta che il soggetto agente ottiene, viene fortemente condizionata anche la successiva azione.
La “prepotenza” in questo caso viene posta in essere da parte di chi dovrebbe proteggere i propri figli invece, al contrario, li maltratta.
Ma nella storia personale di un genitore che abusa vi possono essere dei pregressi di abusi. La Klein spiega tale situazione con il concetto di “identificazione proiettiva” ossia una identificazione con chi ha usato violenza. Chi ha subìto da piccolo atti di bullismo da parte delle figure genitoriali, li ripropone nel proprio stile educativo con i figli. Identificandosi nel proprio genitore ed acquisendo lo stesso comportamento l’individuo mette in atto un meccanismo di difesa in modo da difendersi nei confronti delle umiliazioni subite e per far fronte alla sottostante sofferenza psicologica.
La caratteristica principale del comportamento maltrattante è l’inadeguatezza del ruolo genitoriale e l’incapacità ad entrare in relazione con il proprio figlio e con il suo vissuto. Offendere un bambino o un ragazzo che non può difendersi mostra quanto sia fragile la propria persona e quanta violenza ci sia nella storia personale di chi mette in atto un comportamento abusante.
“Non sei all’altezza”, “vergognati”, “non sei come tuo padre”, “non sei capace di fare niente”, “non capisci niente”, “non sai neanche prendere un buon voto a scuola” sono alcune delle sopraffazioni verbali che colpiscono nel profondo l’autostima del bambino e del ragazzo. È chiaro che il comportamento del genitore ha la finalità mettere in difficoltà il figlio non comprendendo il suo stato emotivo, ferendo la sua sensibilità, umiliandolo e rivendicando il proprio ruolo ed il proprio potere nei confronti di un soggetto vulnerabile che non può reagire.
Quali conseguenze?
Cosa comporta essere vittima di bullismo da parte dei genitori: i bambini in questo contesto diventano il capro espiatorio delle problematicità dei grandi.
La violenza, il giudizio e l’umiliazione suscitano in tutti, e nello specifico nei piccoli, paura, depressione, ansia, comportamenti violenti, di giudizio e offesa nei confronti degli altri, rabbia, demotivazione, disturbi dissociativi, fobie sociali, attacchi di panico, mancanza di fiducia nelle proprie capacità, scarsa autostima, chiusura, isolamento.
Insomma disturbi con conseguenze a breve e a lungo termine. È chiaro che gli effetti sono legati di gran lunga al tipo di sensibilità del soggetto ma l’interiorizzazione della figura genitoriale e del suo comportamento ha esiti molto più deleteri che possono manifestarsi con grosse difficoltà a diventare genitori una volta adulti.
Cosa si può modificare?
È bene differenziare l’esperienza del genitore da quello che invece sta vivendo il bambino, questi infatti diviene il capo espiatorio di una situazione di cui non ha colpa. Il bambino ha necessità di acquisire fiducia nei confronti della propria figura di riferimento. Il vissuto di frustrazione che l’adulto mette in atto nei confronti della propria famiglia produce comportamenti sbagliati che vengono a loro volta appresi da chi sta formando la propria personalità.
Il messaggio trasmesso è completamente alterato e altrettanto la percezione di sé che diviene, in quel contesto, l’unica tangibile. È quindi importante non sottovalutare quanto fattori esterni al contesto familiare (la perdita di un lavoro, una lite, problemi economici o di salute) possano influire sull’emotività dei vari componenti. Comunicare il proprio stato d’animo, evitando di attribuire colpe o mortificazioni, favorisce l’assertività e potrebbe essere utile ai più piccoli per comprendere il rapporto di causa-effetto tra ciò che succede al di fuori della dimensione domestica ed il comportamento del genitore, non altrimenti giustificabile da parte del bambino.
Situazioni gravi richiederebbero, inoltre, l’intervento delle forze dell’ordine o di associazioni in difesa dei diritti dei bambini nelle quali sono presenti professionisti specializzati a sostegno della lotta contro la violenza sui minori. Essere genitori consapevoli non è una certezza ma un apprendimento continuo.