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Se il bambino rifiuta il cibo

di Redazione PianetaMamma - 23.08.2013 Scrivici

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Il fenomeno del rifiuto del cibo in infanzia è un problema fonte di grandi preoccupazioni da parte dei genitori, soprattutto della madre. Ecco alcune possibili cause di un disagio che ha origini profonde

I disturbi dell’alimentazione in infanzia rappresentano una categoria diagnostica ad alta prevalenza, anche perché è molto documentato il ricorso al pediatra per identificare le cause di questo delicato problema. Il fenomeno del rifiuto del cibo in infanzia è quindi un problema fonte di grandi preoccupazioni per i genitori.

Prima di tutto è opportuno chiarire che sono molti i fattori implicati nella regolazione del ciclo fame- sazietà, così come bisogna tener conto del fatto che esistono le differenze individuali. Alcuni bambini cioè, mostrano pattern di regolazione dei ritmi vitali prevedibili e facilmente gestibili fin dai primi giorni di vita, mentre altri sviluppano precocemente difficoltà nei cicli sonno-veglia, fame-sazientà.

Queste differenze dipendono sia da fattori temperamentali che da caratteristiche ascrivibili alla relazione madre-bambino. Il momento dell’alimentazione infatti non è solo finalizzato alla nutrizione. Esso è luogo prediletto di uno scambio relazionale, affettivo e comunicativo tra madre e bambino. Eventuali difficoltà relazionali possono quindi interferire nel normale svolgimento della nutrizione.

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Il rifiuto del cibo del bambino, intorno all’età dello svezzamento, può dipendere però anche da intolleranze alimentari, problemi inerenti all’omeostasi come l’ipersensibilità alla consistenza e/o alla temperatura di determinati cibi o problemi neurologici relativi alla masticazione. Prima di considerare qualsiasi ipotesi sulla relazione madre-bambino è pertanto necessario escludere fattori di tipo organico o disturbi di rilevanza clinica che possono sottostare alla condizione del rifiuto del cibo.



La conseguenza di una insufficiente assunzione di cibo parte del bambino sfocia in un modesto accrescimento fisico, che può cristallizzarsi in un vero e proprio disturbo alimentare noto in letteratura con il nome di Not Organic Failure to Trive, o Anoressia infantile.

Un altro momento critico in cui il rifiuto del cibo raggiunge una considerevole incidenza è rappresentato tra il secondo ed il terzo anno di vita, nel passaggio all’alimentazione autonoma. Qui, osservando attentamente il comportamento della diade madre-bambino nel momento del pasto appare spesso un conflitto all’interno della relazione in riferimento all’autonomia. E’ infatti evidente che a quest’età i bambini spesso manifestano il desiderio di mangiare da soli, impugnando autonomamente le posate e portando il cibo alla bocca. L’intrusività della madre, che per velocizzare il momento del pasto si ostina ad imboccare il figlio può determinare come reazione il rifiuto del cibo da parte del bambino. Una simile problematica quindi fa ipotizzare una difficoltà all’interno della relazione che non ha nulla a che vedere con un capriccio o con una richiesta di attenzioni da parte del bambino. 

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Un altro indizio di questo tipo di problematica è dato dal caso in cui il bambino manifesta un’alimentazione corretta in presenza di altre figure di riferimento, come la nonna o la baby-sitter, mentre il rifiuto del cibo avviene esclusivamente in presenza della madre.
L’osservazione del momento del pasto da parte di esperti è utile anche per identificare altri tipi di difficoltà: alcune madri infatti riferiscono uno scarso introito di cibo da parte del proprio figlio, mentre all’osservazione esso risulta essere nella norma. Questo avviene perché alcune madri valutano la loro adeguatezza di care-giver in rapporto a quanto mangia il proprio figlio, con il rischio che la quantità di cibo che il bambino mangia non sembri loro mai abbastanza.
Ancora il rifiuto del cibo può manifestarsi non come condizione primaria, ma come conseguenza di altri diturbi di natura psicologica a carico del bambino: ad esempio in presenza di un disturbo dell’adattamento, di un disturbo affettivo o di un disturbo da stress post-traumatico

Dott.ssa Isabella Ricci
Psicologa

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