GENITORI E FIGLI NELLO SPORT -
L’
attività sportiva
come tutti sanno è importantissima, non solo per gli adulti ma anche e soprattutto per i bambini. Dal punto di vista fisico, tutti gli sport possono essere praticati anche dai più piccoli, l’unico elemento essenziale è che il bambino si diverta. Alcune discipline sono più adatte di altre per cercare di favorire determinate capacità, ma comunque tutte sono uno stimolo utile per lo
sviluppo fisico e psicologico del bambino.
LEGGI ANCHE:
Sport e bambino: i consigli della psicologa, video
Spesso è difficile per un genitore dare una mano al bambino per
più adatto alla sua età, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, ma non si dovrebbe decidere per loro. Non esistono sport di serie A e sport di serie B; ogni disciplina ha le sue caratteristiche, le sue regole (sia individuali che di gruppo) e sviluppa specifiche capacità e competenze in chi lo pratica. È importante una pratica regolare e formativa.
Molto spesso la linea di campo tra gioco e stress per il bambino è sottile, quanto quella tra il buon genitore che si limita a far capire l'importanza formativa della disciplina e dell'impegno e quello che invece invade, soffoca, s'arrabbia, giustifica, pretende. Il pedagogo
Emanuele Isidori,
docente di etica e filosofia dello sport sostiene che
l'influenza negativa della famiglia
sia il nocciolo del problema. Troppi genitori infatti proiettano sui loro figli le proprie frustrazioni e aspettative, caricandoli di ansie deleterie.
Come leggiamo su
Repubblica
,
Isabella Gasperini, psicoterapeuta dell'età evolutiva
che collabora con varie squadre di calcio, sostiene che i genitori più pericolosi e invadenti sono quelli che non si sentono realizzati e hanno meno cose da fare nella vita. Secondo la psicoterapeuta i bambini andrebbero invece lasciati liberi: di sbagliare, di creare, di calciare come gli viene, di sdraiarsi a guardare il cielo se non hanno voglia di correre, di seguire l'istinto. Liberi anche di assumere le proprie responsabilità e di cavarsela da soli, se un compagno gli ha messo le scarpette sotto la doccia.
LEGGI ANCHE:
Il ruolo dello sport nella crescita dei figli
Per provare ad arginare invadenza e apprensioni di mamma e papà, si sta diffondendo di palestra in campetto il prontuario "
Dieci regole per essere bravi genitori di piccoli atleti",
tradotto e adattato dalla versione originale in inglese di Rose Snyder, già membro del comitato olimpico statunitense, esperta allenatrice di nuoto e autrice di un programma nazionale per aiutare le piccole società sportive americane a gestire i conflitti tra allenatori, atleti e genitori.
Ebbene secondo la Snyder la prima regola da tenere in mente è che
genitore e allenatore devono avere ruoli ben distinti:
la parte tecnica è - senza se e senza ma - di competenza del primo, mentre commenti e suggerimenti sono vietati. La seconda regola dice poi di resistere alla tentazione di vedere un bimbo di sette anni una promessa dello
, per poi caricarlo di speranze e aspettative. Che nella stragrande maggioranza dei casi, saranno spazzate via.
Incoraggiarli sì ma senza esasperazioni e pressioni per raggiungere per forza dei risultati. I bambini che fanno
, anche a livello agonistico, svolgono una attività ludica e motoria e devono farlo seneramente.
LEGGI ANCHE:
Sport e bambini: ecco il decalogo per il genitore
Lo ricorda anche la Federazione medico sportiva italiana (Fmsi) ai genitori dei piccoli sportivi in un decalogo. Le raccomandazioni vanno dal
rispettare le regole, gli avversari e le decisioni degli arbitri
al non rimproverare nel modo più assoluto il figlio che non vince, dal comprendere che le difficoltà sportive che incontrano i bambini fanno parte del processo di crescita. Inoltre la Fmsi ricorda di
non mettere pressione ai figli
e di fare sentire loro la propria presenza nei momenti di difficoltà sdrammatizzando gli aspetti negativi e promuovendo quelli positivi. Far capire al figlio che
saper perdere è più importante che vincere,
proseguono i medici sportivi, aiutandolo a stabilire tappe e obiettivi realistici.
Infine
stimolare la sua autonomia e indipendenza
evitando di essere onnipresenti, sostenerlo sempre e non interferire nelle scelte tecniche e nelle relazioni con gli altri componenti del gruppo.
a cura di Elisa Santaniello