LE CAUSE DEL PIANTO DI UN NEONATO -A cura della Dottoressa Giuliana Apreda, Psicologa Psicoterapeuta
Il pianto del neonato può essere fonte di grande preoccupazione ed ansia per i neogenitori ma in realtà è la sua principale forma di comunicazione.
Appena nato, e nelle prime settimane di vita, il piccolo non ha la consapevolezza del pianto e la mamma corre subito da lui; tuttavia, man mano che il tempo passa, comincia a comprendere questo rapporto di causa ed effetto e inizia a servirsi del pianto per comunicare un bisogno, una protesta, un malessere o una richiesta di attenzione.
Alcuni bambini piangono più di altri, ma ciò non significa che il piccolo che piange in minor misura cresce meglio di quello che fa sentire le proprie grida più frequentemente. In virtù di quanto abbiamo appena detto, ovvero il pianto quale mezzo di comunicazione, è positivo il fatto che il proprio bambino pianga, e se ciò non avvenisse, occorrerebbe chiedersi cosa impedisce al piccolo di esprimersi attraverso questo strumento.
Poiché la preoccupazione di una mamma, specie se è alla prima esperienza con un neonato, è quella di imparare a riconoscere il tipo di bisogno espresso dal bambino con il pianto, penso sia utile sapere che alcuni studi hanno descritto le caratteristiche che contraddistinguono i vari tipi di pianto. Si tratta di differenze più o meno vistose, che possono essere spiegate teoricamente, ma che poi ogni mamma deve sapere riscontrare nel proprio bambino, adattandole al personalissimo modo di piangere del suo piccolo.
Il pianto per fame
E’ caratterizzato da un suono acuto seguito da un’inspirazione, è accompagnato anche da una specie di fischio, al quale segue un breve periodo di silenzio. A volte, soprattutto all’inizio, il pianto per fame si manifesta con un mugolio al quale il neonato inframmezza movimenti di apertura e chiusura della bocca.
Il pianto di collera
E’ il tipo di pianto che ha più diversificazioni secondo i bambini.
Infatti, il timbro più o meno acuto dipende dalla forza con la quale l’aria passa attraverso le corde vocali. In ogni caso si riconosce abbastanza facilmente perché è acuto, persistente, insopportabile da ascoltare.
Il pianto di dolore
Si manifesta in modo inconfondibile, e pertanto la mamma riesce a distinguerlo ben presto da tutti gli altri tipi di pianto. E’ caratterizzato da un primo grido seguito da un momento di silenzio e da una inspirazione profonda, che a sua volta genera una serie di altre grida ravvicinate, sempre più incessanti ed acute. Il pianto che evidenzia un sintomo doloroso è riconoscibile anche da una serie di movimenti che il bambino compie: infatti egli può contrarre le gambe verso l’alto ed emettere aria.
In questo caso il piccolo è affetto da forti dolori addominali, le cosiddette contrazioni gastro-coliche, abbastanza frequenti dopo le poppate, nei primi tre mesi di vita. In una evenienza del genere è utile distenderlo sul ventre (il bambino tenderà a rannicchiare le gambe e ad assumere la posizione con il "sederino in su"), oppure prenderlo in braccio, dondolandolo e coccolandolo.
Il pianto di frustrazione
Si può considerare una variante del pianto di dolore. E’ espresso da un grido seguito da una lunga inspirazione, molte volte accompagnato da una specie di sibilo. Tale tipo di pianto sopraggiunge quando al bambino è tolto qualcosa che aveva "catturato" con la sua concentrazione o il suo interesse (ad esempio se gli viene meno il capezzolo o il biberon e lui ha ancora fame).
Il pianto melanconico
Alcuni neonati dimostrano la tendenza a piangere o a lamentarsi senza alcun motivo apparente. Sono stati puliti e accuditi amorevolmente, hanno mangiato a sufficienza, sono vestiti in modo da non soffrire né il caldo né il freddo: eppure piangono! E’ questa la tipica situazione in cui la mamma non sa più cosa fare.
Prestando però un po’ di attenzione, ci si accorge che spesso questa situazione di disagio del bambino si verifica prevalentemente al sopraggiungere della sera.
In tal caso si è di fronte ad un bambino particolarmente sensibile al ritmo della successione giorno-notte e viceversa. Il suo lamentarsi o piangere rappresenta un modo per cullarsi musicalmente ed autoconsolarsi per l’avvento del buio che in lui determina una sorta di tristezza e di melanconia.
A volte, però, il lamento può sfociare in crisi di pianto che lo rendono inconsolabile, specie se la mamma non si premura rapidamente di prenderlo in braccio e di tranquillizzarlo attraverso il contatto pelle a pelle.
Come reagire e comportarsi?
E' sempre necessario prendere in braccio il bambino, o cullarlo, quando piange? L’argomento è continuamente oggetto di discussione tra mamme, genitori, familiari e tra mamma e pediatra, perché ognuno ha una sua teoria. La preoccupazione più grande è quella di correre il rischio di "viziare" il neonato se si accudisce appena inizia a piangere. Crediamo che su questo punto occorra soprattutto buon senso: a volte il piccolo piange perché ha sonno ed allora è utile cullarlo finché non si addormenta.
Probabilmente egli ha bisogno di sentire un maggior senso di sicurezza per abbandonarsi al sonno; è inutile lasciarlo piangere sperando che si calmi da solo, poiché il risultato sarà esclusivamente quello di farlo agitare a tal punto da sconvolgerlo e rendere più difficoltoso il riposo.
Quando è molto piccolo il neonato concepisce la madre come qualcosa che fa parte di se stesso, e provare la sensazione di esserne staccato lo atterrisce. Pertanto, prenderlo in braccio per farlo addormentare o quando si sveglia di notte, non significa "viziarlo", ma soltanto tranquillizzarlo.
Pian piano il bambino dovrà imparare a fare a meno della assidua presenza della madre, ma sarà tanto più capace di farlo quanto più avrà la sicurezza che l’entità madre esiste, sebbene separata da lui e lo soccorre, quando ne ha bisogno.