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I tipi di pianto nel bambino, come riconoscerli

di Dott ssa Teresa De Monte - 23.09.2021 Scrivici

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Il pianto rappresenta l'unico strumento comunicativo del bebè, la Dott.ssa De Monte ci spiega come riconoscere i tipi di pianto nel bambino

Tipi di pianto nel bambino

Tutti i bimbi del mondo piangono allo stesso modo e fondamentalmente per le stesse cose. Se per alcuni genitori il pianto è un evento del tutto normale e quindi tollerato, per altri è quel qualcosa che genera ansia, trepidazione, un problema non tollerato. Ma come riconoscere i diversi tipi di pianto nel bambino?

In questo articolo

Perché il bambino piange

Nei primi tre mesi di vita un neonato piange in media due - tre ore al giorno.

Questa manifestazione è l'unico modo per segnalare una sua richiesta, un disagio, dal momento che non ha la capacità di parlare. Piangere è un vero e proprio sistema di segnalazione, un richiamo tutt'altro che generico, un segnale che ha lo scopo di portare la madre vicino al suo piccolo, il più presto possibile. È un modo per dialogare, per allenare gli altri a rispondere adeguatamente.

Il rapporto che si instaura tra mamma e neonato è unico e speciale e grazie a questo canale, alla propria sensibilità, la mamma riesce a trovare la via migliore per capire quello che il pargolo vuole comunicare e a rispondere attraverso il seno, un bacio, un abbraccio.
Dopo la nascita tutti i pianti sembrano essere molto simili, varia solo il timbro, l'acuto o la modulazione, pertanto è necessario del tempo, qualche settimana, perché il neonato impari a comunicare meglio e i genitori a capire le innumerevoli sfumature di questo vocalizzo. Il bambino va compreso, rispettato, aiutato.

I diversi tipi di pianto del neonato

Uno studio di alcuni anni fa documenta ben 7 tipi di pianto, a seconda delle esigenze del bambino.

Pianto della fame

Senza ombra di dubbio il pianto della fame, uno degli stimoli più forti che porta un neonato a chiamare, è il più utilizzato e importante. È un linguaggio fatto di grida sempre più forti e prepotenti, che entrano nel cervello e scuotono le meningi, fino a che non gli viene offerto il seno o il biberon.

Solo così l'urlatore si calma, e a volte anche durante i preparativi del biberon o allo scoprire delle poppe. Molte volte il pianto è un segnale tardivo, l'ultimo dei segnali di fame, al quale il piccolo arriva stressato, spaventato, con movimenti scoordinati così da non essere in grado di poppare bene.

Prima di piangere, il bambino invia di solito 3 segnali:                                                   

  1. Il primo segnale corrisponde a uno schiocco della lingua sul palato, o a un movimento del succhiare prodotto con le labbra. È il primo segnale di un blando appetito.
  2. Il secondo segnale si presenta quando il bambino inizia a cercare il seno girando la testa di qua e di là.
  3. Il terzo segnale si evidenzia quando il bambino inizia a succhiarsi il dito o la mano o il polso. Corrisponde più o meno al momento in cui i figli più grandi iniziano a girare nervosamente per la cucina chiedendo  È pronto? Cosa si mangia?
  4. Il quarto segnale della fame si ha quando il bambino inizia a piangere, perché spaventato, decisamente affamato e per questo con ogni probabilità si attacca al seno in modo scorretto proprio perché agitato. In queste condizioni  diventa difficile correggere un attacco malamente impostato o una posizione inefficace della lingua. Inoltre essendo stanco, inizia a poppare, si sazia con il primo latte che scende, poi, stremato, si addormenta senza aver mangiato il giusto quantitativo per la sua fame.

Pianto per il pannolino sporco

Se il piccolo ha il pannolino pieno di pipì e pupù, quindi bagnato e/o sporco, piange in modo lamentoso. È un segnale che ha il timbro del disagio, del malessere, non del dolore o della sofferenza.

Il nuovo-nato è un piccolo uomo che improvvisamente è catapultato da un mondo ad un altro e dove tutto cambia drasticamente: il modo di respirare, di sfamarsi, di consolarsi, poi c'è la cacca e la pipì che rimangono attaccati alla pelle e danno fastidio. Insomma, deve imparare ad adattarsi alla vita esterna e questo richiede sforzi, frustrazioni e grandi difficoltà da parte sua che si esprimeranno, ovviamente, con l'unico modo che ha di comunicare, il pianto.

Pianto dell'abbandono e della paura

È un pianto molto forte, improvviso, specie nei primi mesi di vita. Si manifesterà sempre quando il piccolo, svegliatosi dal sonno, non avvertirà quella parte di se che noi chiamiamo mamma, ma che in realtà egli considera come "un pezzo del suo corpo" (simbiosi psicofisica madre-neonato). È il pianto di un bisogno esistenziale e accogliendolo noi assecondiamo un bisogno psichico e facciamo sì che cresca interiormente bene, tranquillo, certo di essere accolto e sostenuto sempre. Nella  maggior parte dei casi questo pianto si risolve prendendo il neonato/lattante in braccio, meglio se immediatamente, senza che il pianto incalzi, perché non esiste il vizio delle braccia ed è disumano lasciar piangere sia un lattante sia un bimbo.

Pianto per stimoli eccessivi

Frigna e alterna pianti con urla quando è coinvolto da stimoli troppo forti: troppo rumore, troppo caldo, troppo freddo, troppo sole, troppa luce, troppo brusio di voci.

Pianto da sonno

Con passare dei giorni ogni madre impara da sé a riconoscere il pianto del neonato che ha sonno e non riesce a dormire e che a ben guardare si lamenta fregandosi gli occhi.

Pianto per essere preso in braccio

Il pianto del bimbo che vuol essere preso in braccio o che vuole essere spostato o cambiato di posizione è una specie di lamento continuo intervallato da pause che sembrano delle attese per vedere se la madre ha captato la richiesta.

Pianto per odori forti

Il pianto del bimbo che non tollera gli odori forti della casa, del profumo di chi lo sta accarezzando o tenendo in braccio, del fumo di sigaretta è come il guaire di un cagnolino che si accompagna a movimenti di allontanamento dalla sorgente maleodorante.

Dopo i sei mesi, piangere gridando può essere espressione di noia o frustrazione per non aver raggiunto un traguardo desiderato. Se vuole prendere un oggetto e non ci riesce, se vuole fare qualcosa e sbaglia può scoppiare in un pianto violento per rabbia o per richiedere aiuto a svolgere un compito apparentemente piccolo, ma per lui già molto importante.

Pianto per dolore

C'è poi un pianto spasmodico, come di dolore delle coliche gassose, molto comune tanto da essere quasi considerato normale, che le madri imparano rapidamente a riconoscere. Non ha nulla a che vedere con il gas o l'aria nella pancia e la conseguente e affannosa ricerca e la prescrizione di rimedi farmacologici di ogni specie, si rivelano sempre inefficaci. Questo è un evento descritto e classificato come pianto colitico. Di fronte a questo pianto la mamma chiede a se stessa e al pediatra "Di che cosa ha bisogno mio figlio? Perché piange così tanto?". Potrà sembrare banale la risposta, ma è questa: "Di cibo, di contatto fisico con te, mamma, della tua pelle, del tuo odore, del tuo calore, delle tue coccole, perché il neonato che ha appena finito di poppare e dopo qualche minuto nella culla torna a piangere, gettandoti nel panico, non ha le coliche. Più profondamente, ha bisogno di contatto, del tuo."

Il pianto colitico, inconsolabile, che ha la sua massima espressione nel secondo mese di vita, sparisce da solo entro il terzo/quarto mese di vita, lasciando solo in voi mamme un brutto ricordo.

È stato dimostrato che i piccoli che vengono presi in collo quando piangono strillando e vengono cullati, coccolati, capiti saranno un domani bambini più sereni e più fiduciosi verso il prossimo. La ricerca di contatto con il seno materno non è solo per nutrimento fisico, ma anche ricerca d'affetto, di sicurezza e la conferma antica che non verrà abbandonato.

L'importanza del contatto

Il problema è ancora più drammatico se la mamma lavora e sta fuori casa nove-dieci ore. Il tempo di contatto di pelle, di odore, di calore è ulteriormente ridotto. Il bambino è scombussolato e spaesato tra asili nido, dove anche le cure e le attenzioni migliori non possono supplire quell'unico contatto materno, e baby-sitter più o meno motivate, in cui il compenso monetario può creare ulteriori dinamiche di scarsa cura. Solo la presenza di nonni affettuosi, o di una dada tenera e stabile, può dare al piccolo quella gratificazione emotiva continuativa così essenziale a nutrire la sua psiche, il suo bisogno di sentirsi protetto e amato con certezza.

Tutte le mamme a casa? No, se non è una loro scelta. Tuttavia una mediazione saggia è indispensabile che passa attraverso il contatto di pelle tenendosi il bambino vicino al corpo dopo il rientro a casa, con quei marsupi, fasce, kangaroo che sono ben noti, e/o portandolo a dormire accanto a sé la notte fino a quando non si tranquillizza.

Questi suggerimenti si leggono nel libro di Margot Sunderland, direttrice del Center for Child Mental Health di Londra, "The science of parenting" (Ed. Penguin), che descrive le conseguenze negative sulla salute fisica e psichica del bambino, per le reiterate separazioni quotidiane e i pianti inascoltati, confermando con evidenze scientifiche quanto già si sapeva. Tutto questo comporta una modificazione delle dinamiche familiari, la necessità di nuovi e forse ripetuti aggiustamenti, un impegno nel riuscire a portare e dare autonomia al piccolo quando sarà più grandicello.

Questo è un passaggio molto delicato perché da questo momento la sua emotività, identità profonda, capacità di fidarsi dell'amore e degli altri, viene e deve essere consolidata nelle fondamenta.

Pianto del primo trimestre di vita

Nei piccoli di mammiferi, la vocalizzazione angosciata se la madre si allontana o viene allontanata dipende dall'attivazione immediata nel cervello di uno dei sistemi di comando emotivo fondamentale: il panico da angoscia di separazione, cui corrisponde un'immediata attivazione neurovegetativa di tutto il sistema di sopravvivenza, con picchi di adrenalina e di cortisolo, l'ormone che più di ogni altro indica l'attivazione dello stress.

Questo pianto è simile al pianto del bambino di 3 anni, stanco, che alla prima frustrazione scoppia in un torrente irrefrenabile di pianto e di spasmi.

Oggi questo tipo di pianto viene definito pianto inconsolabile del primo trimestre di vita.

L'inizio canonico è dopo i primi 15 giorni di vita, coinvolge il 50% dei neonati sani, compare la sera, e puntualmente come un orologio sempre dopo le ore 17. Il piccolo improvvisamente inizia con un pianto forte e inconsolabile, si tira le gambette sull'addome, recalcitra, si fa rosso in viso, si contorce e si irrigidisce. Nulla placa il pianto e la smania, ogni tentativo fatto per tranquillizzarlo fallisce, anche il farmaco, lasciando i genitori in uno stato di preoccupazione, tensione e prostrazione, che determina un peggioramento della situazione e condizione. I neonati, infatti, sono sensibilissimi, a pelle, nei confronti dello stato di tensione della madre e reagiscono così inquietandosi ancora di più.

Queste crisi di pianto spasmodico talvolta durano anche ore per lasciare poi il posto ad un sonno tranquillo e un'altra giornata serena, fino alla sera dopo quando, molto spesso, le crisi di pianto si ripresentano nuovamente.

Le motivazioni di questo pianto incessante sono ignote, se per alcuni il pianto altro non è che un modo di scaricare la tensione accumulata nella giornata, per altri è legato a cause psicologiche in rapporto ad un'alterata relazione madre/bambino.

Se mai questo tipo di pianto si presentasse particolarmente violento ed eccessivo anche al mattino sarà bene parlarne col pediatra per ricercare eventuali possibili cause organiche.

Il consiglio spassionato di fronte a questo tipo di pianto è cercare di consolare il piccolo senza affannarvi: non ha una malattia, non è ammalato. La cosa migliore è farsi aiutare se siete stressate e stanche, preparatevi all'ora del pianto lasciando le cose da fare, create un'ambiente sereno e riducete i rumori ambientali, chiudete Tv e cellulare, poi prendetelo tra le braccia, mettetelo a pancia sotto e camminate per casa, attaccatelo al seno, massaggiategli il pancino con movimenti circolari liberandolo dal pannolino, magari ascoltando una bella musica rilassante.   

Jack Panksepp, ha studiato più di tutti questo meccanismo negli animali e ha gettato le basi per una lettura neuroscientifica anche degli affetti e della vita emotiva dei piccolissimi. Nel cucciolo d'uomo, emotivamente ancora più complesso, il panico da angoscia di separazione attiva immediatamente il pianto singhiozzante, cui corrisponde, in perfetta simmetria con gli altri cuccioli di mammiferi, l'attivazione degli ormoni dello stress.

Scrive Panksepp:

Ho sempre pensato, che lasciar piangere il bambino piccolo nella sua cameretta finché si calmi sia una crudeltà. Se il bambino ha mangiato, è stato cambiato e pulito, accarezzato, quando è messo nel lettino, non c'è motivo che pianga. Dunque se piange è puro capriccio e per evitare che si vizi bisogna lasciarlo piangere così impara a stare bene da solo, chiudendo stoicamente la porta della sua camera

Cosa fare? Dobbiamo consolarlo?

Proviamo a metterci nei panni del piccolo, che ha un cervello programmato da millenni per stare a contatto con la madre, l'unica che può garantirgli certezza di vita. Anche per il piccolino, al di là del cibo, è proprio il contatto con la madre a dare la maggiore serenità, il più profondo benessere.

La fiducia di poter essere amato, la certezza di avere una base sicura, un'Itaca affettiva a cui tornare sempre, come scrive John Bowlby, quell'Itaca la cui identità è già tristemente cambiata anche tra i nostri piccoli, perché la parola più usata non è più mamma, ma casa, un luogo fisico invece che un cuore.

Il piccolo che zittisce dopo un lungo pianto, ha imparato poco o nulla sulla capacità della propria autonomia. Egli semplicemente tace perché è esausto e ancor più è disperato, perché sta perdendo la speranza di poter essere confortato quando si sente solo. L'unica cosa che apprende, quando questo meccanismo di non-risposta alla sua invocazione di richiamo viene consolidato, è che nessuno risponde ai suoi richiami, che la sua solitudine, soprattutto quando è buio e l'angoscia di separazione si accentua, non viene sciolta in un abbraccio.

Il pianto, dunque, appare solo come la punta dell'iceberg di uno sconvolgimento neurovegetativo che viene irreversibilmente attivato, quello dell'ansia e dello stress, che si traduce in maggiore vulnerabilità verso malattie infettive. Infatti i bambini al nido non si ammalano continuamente solo perché sono esposti a più contagi, ma soprattutto perché le loro difese immunitarie sono depresse dallo stress cronico. Aumentano le atopie, le dermatiti allergiche in cui, guarda caso, è iperattivata una cellula critica della difesa immunitaria, il mastocita, che è ipersollecitato dallo stress. Aumentano le malattie psicosomatiche, che indicano non tanto un'invenzione della malattia, ma un forte coinvolgimento del sistema nervoso e dello stress neurovegetativo e affettivo nella loro origine.

5 motivi per cui il neonato piange

Paola Torrieri del blog MammaModelloBase ci spiega 5 motivi per cui il neonato piange.

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