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I voti alla scuola elementare: pro e contro

di Daniela Poggi - 25.06.2014 Scrivici

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E' polemica per i voti alla scuola elementare. C'è chi li abolirebbe perché etichette umilianti più che formative, e chi li ritiene utili per segnare le tappe dell'apprendimento...

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VOTI SCUOLA ELEMENTARE - I voti alla scuola primaria sono un giudizio utile alla formazione o rischiano di essere demotivanti? 

Dopo essere stati assenti dalle pagelle dei bambini italiani per molti anni, sono stati reintrodotti separando l'opinione del panorama scolastico: c'è chi li abolirebbe ritenendoli una sorta di gabbia che imprigiona le possibilità di migliorare e c'è chi li ritiene utili per segnare le tappe dell'apprendimento.

I veri protagonisti sono i più scettici: i bambini sanno che il voto significa premio o punizione, anche nelle conseguenze a casa, mentre gli insegnanti sono in difficoltà a condensare un giudizio in un numero senza poter spiegare e dare indicazioni più costruttive. 
La polemica sui voti si muove da qualche anno anche a livello europeo, soprattutto in Francia con una presa di posizione di intellettuali e genitori. Quali implicazioni si nascondono dietro un voto?

Soprattutto nell’interpretazione dei bambini, il voto ha una valenza chiara: se prendi dieci sei bravo, se prendi cinque sei un asino e rischi una punizione.  Chi ha preso tanti dieci alla prima piange davanti al primo dei sei delle medie e chi ha sempre preso sei pensa di non redimersi mai dalla sua posizione. Dai sei ai dieci anni, l’età in cui i bambini frequentano la scuola primaria, la capacità di prevedere un futuro diverso dalla realtà è ancora soltanto abbozzata.

 

Come spiegava Piaget, il concetto dell’astratto nei bambini si inizia a formare dagli otto anni e da ciò possiamo dedurre che per metà della prima esperienza scolastica un voto è un numero che viene percepito come coppa del vincitore o come cappello con le orecchie d’asino senza troppo previsioni per un futuro diverso.

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Per come vede la situazione un bambino, la conseguenza di una insufficienza è la punizione di stare senza videogiochi per una settimana, non lo sprona a cambiare metodo di studio. Serve un dialogo più approfondito per spiegare il motivo di un giudizio e per chiarire che è assegnato al lavoro svolto e non al bambino come persona. 


Come dicono gli insegnanti, c’è grande differenza tra un sei dato a un compito eseguito con distrazione e malavoglia da chi potrebbe fare di meglio, piuttosto che a un lavoro frutto di grande sforzo da parte di chi ha cercato di colmare le proprie lacune. 

I due fronti si dividono sulla necessità della spiegazione: chi abolirebbe i voti li ritiene delle etichette più umilianti che formative, mentre chi ne apprezza l’inserimento li interpreta come indicatori di un percorso in cui servono dei paletti.

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Sulla questione dei voti la Francia è teatro di una forte polemica. Il fronte dei contrari ai voti ha scritto un appello firmato anche da molti intellettuali, tra i quali lo scrittore Daniel Pennac. Quali alternative ci sarebbero ai voti?

In Finlandia, pese ai vertici delle classifiche europee per meriti del sistema scolastico, si usano le faccine alla scuola primaria: faccina che sorride per un buon andamento, faccina triste per chi potrebbe fare di più. Questa interpretazione ci ricorda i giudizi che scriveva il maestro Alberto Manzi sulle pagelle dei suoi alunni: “Fa quel che può, quel che non può non fa”

a cura di Daniela Poggi

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