Il primo giorno di scuola raccontato da una mamma
Mio figlio ha sette anni e ieri è stato il suo primo giorno di scuola. In realtà poteva sembrare nulla di eccezionale (se non per me che cinicamente comincio ad assaporare qualche momento di libertà) ma per lui è stato inaspettatamente emozionante. Va in seconda elementare, la scuola è sempre la stessa e la classe anche. Ma rivedere i suoi compagni, le maestre e affrontare l’inizio di un nuovo anno scolastico lo ha caricato di entusiasmo.
Per tre mesi ha goduto della libertà e dell’indipendenza nella nostra casa al mare. Ma salutare i suoi amici dell’estate non gli è dispiaciuto più di tanto. Il desiderio di tornare alle sue abitudini, alla scuola, ai suoi compagni e, in fondo, alla sua routine era molto forte.
Nessuno zaino nuovo e nemmeno l’astuccio. Gli oggetti dell’anno scorso erano ben tenuti e quindi ci siamo divertiti solo a comprare tutto l’occorrente nel reparto cancelleria per riempire l’astuccio di colori, penne e altre cose utili. Domenica ha impiegato un sacco di tempo a preparare il suo astuccio, provare i pennarelli e i pastelli.
Ieri mattina, dopo tre mesi, la sveglia ha suonato alle sette e sono andata a svegliarlo con una carezza mentre la casa si riempiva di odore di caffè. Una ruotine che anche io ho apprezzato nel suo calore e nella sua semplicità.
Mentre aprivo poco poco la serranda, giusto per far filtrare la luce, ha fatto i soliti capricci perché voleva dormire ancora cinque minuti e io l’ho lasciato fare, mentre preparavo la colazione. E poi ancora, coccole e uno spiraglio di finestra aperto un po’ di più.
“Forza che i tuoi amici sono già in piedi a prepararsi”
“Mamma voglio mettermi il gel nei capelli perché così sono più fashion”
“Va bene”
“Secondo me così sembro più grande”
Un abbraccio forte come solo lui sa fare e finalmente si alza.
Sul rito della colazione non si transige. Ci alziamo un po’ prima proprio per avere il tempo di sederci a tavola e fare colazione insieme. La maggior parte delle volte ci rilassiamo troppo: ancora un po’ di pane e marmellata, un altro biscotto, e in men che non si dica l’orologio ci dice che quasi quasi siamo in ritardo.
Gli ultimi dieci minuti prima di uscire sono frenetici. Lava i denti, la faccia, metti la t-shirt e i calzini. Forza andiamo. “Mamma, e il gel?”
Si chiude in bagno e quando ne esce ha un ciuffo finto spettinato che gli dà un’aria da furbetto.
Lo adoro e glielo dico.
Ma adesso andiamo, che facciamo tardi. Zaino in spalla si esce.
Fuori la scuola decine e decine di genitori e bambini affollano il cortile. Lui incontra qualche amichetto, ma in fondo freme perché la bambina che vuole incontrare non è ancora arrivata. Poi si illumina. Lei è lì che con un’aria da “donna già vissuta” lo tempesta di domande
“Dove sei andato quest’estate?” ; “Hai letto i libri della maestra?”; “Cos’hai portato nello zaino?”
Abituati amore mio, così è. L'interesse dura poco, arriva il suo amichetto del cuore e in un batter d'occhio si finisce a parlare di calcio e qualche bricchoneria combinata in estate.
Quest’anno i bambini entrano a scuola da soli. Ormai sono in seconda e non c’è bisogno di accompagnarli fino in classe.
“Ciao mamma, ci vediamo dopo!”, mi saluta con la mano mentre scompare tra la folla che entra nell’edificio.
Saluto anche io e mi avvio un po’ malinconica verso la strada. La malinconia dura tre secondi, poi mi affretto che ho da fare, ma prima mi fermo al bar e mi gusto un caffè.
Le ore scorrono veloci, all’una torna a casa.
Entra felice dalla porta e proclama
Mamma è andato tutto bene, abbiamo fatto un sacco di giochi. Siamo fortunati, la maestra ha detto che per qualche mese giochiamo solo, sai, per abituarci ma poi dobbiamo lavorare sodo