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Inserimento al nido, il racconto di un papà: consigli e riflessioni

di Francesco Cardarelli - 05.09.2017 Scrivici

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Inserimento al nido, il racconto di un papà in Redazione. Come comportarsi quando l'inserimento al nido è difficile sia per i bambini che per i genitori

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Inserimento al nido, il racconto di un papà

“Amore l’asilo è bello, ci sono tanti bimbi come te, fai un sacco di attività divertenti e poi le maestre sono così carine”.  Ma i bambini hanno un sesto senso che capta quello che noi percepiamo quasi inconsciamente: il primo giorno d’asilo segna la più grande fregatura della vita, dopo lo sfratto dalla pancia di mamma. Quando siamo chiusi in ufficio mentre fuori c’è il sole, circondati da colleghi noiosi e capi antipatici, a volte viene la voglia di mettersi a urlare e scappare nell’abbraccio della persona che amiamo, ma se lo facessimo verremmo prima licenziati e poi internati. I bambini invece hanno tutto il diritto di protestare contro questa società contro natura. Le prime volte che ho lasciato mio figlio all’asilo ho provato un misto di senso di colpa e invidia.

Anticorpi e socialità al nido

Il bambino dovrebbe stare con la famiglia e viceversa, ma il sistema ci vuole sempre produttivi e non tutti possono permettersi lunghe aspettative per mater/paternità. L’asilo nido è un provvidenziale aiuto per il genitore che torna a lavorare e se non ci sono alternative è giusto che venga usato. Però i discorsi sul “farsi gli anticorpi” o “socializzare con gli altri” riferiti a bambini di sei mesi sono solo alibi per la coscienza. Più il bambino sta con i genitori, meglio è, senza ovviamente arrivare agli eccessi dei trentenni ancora a casa di mamma, ma questa è un’altra storia.

Paura del distacco

Mio figlio è stato con sua madre fino a un anno e mezzo. Dopo un primo fallimentare tentativo di metterlo al nido a 8 mesi ci siamo detti che non avendo i nonni a portata di mano e avendo la possibilità di prendere una pausa di un anno minimamente retribuita (100€ meno della retta dell’asilo) sarebbe stato meglio per lui restare a casa. In effetti si è ammalato molto meno dei suoi coetanei ed è diventato super socievole con gli altri bimbi e indipendente, soffrendo meno la paura del distacco. O almeno a noi piace pensare che sia così.

Dal canto suo la madre passando tutto il giorno col bambino ha avuto una sorta di regressione e ora comunica solo a monosillabi e non si addormenta senza ciuccio. Sto scherzando, ma comunque non è una scelta facile da portare avanti, sia per l’impegno che richiede il piccolo sia per le critiche che piovono da tutti quelli che la pensano diversamente e oggi anche lei è contenta di poter riprendere in mano il tempo per sé stessa, anche se in ufficio. Insomma, come in tutto quello che riguarda l’educazione e la crescita dei figli, l’importante è fare ciò che si crede sia per il loro bene, così non si sbaglia. O meglio, sicuramente in qualcosa si sbaglia, ma con amore.

L'inserimento all'inizio è stato duro e difficile. Chicco (nome d'arte) trotterellava allegro alla scoperta del nuovo ambiente e dei baby-colleghi, ma sempre controllando che io fossi nei paraggi. Il primo giorno mi vergognavo come un ladro e gli ho farfugliato un "guarda poi papà magari si allontana un attimo ma tanto torna" e dopo un po' me ne sono andato al bar dietro l'angolo a leggere cosa diceva PianetaMamma dell'inserimento. Volevo cercare pure qualcosa sul fatto di parlare ai figli in terza persona ma l'altro argomento era più impellente. Ho così scoperto di aver commesso il primo errore: bisogna salutarlo con decisione. Poco dopo mi hanno chiamato dall'asilo dicendo che stava strillando senza tregua. Un ottimo inizio. Abbiamo cominciato a parlarne molto a casa, spiegandogli che anche noi vorremmo restare sempre insieme ma la nostra società ci impone di andare a lavoro e nel frattempo lui può giocare e divertirsi all'asilo che poi tanto ci si ritrova la sera tutti a casa… e poi ci sono i fine settimana per stare tutto il giorno insieme! Mentre glielo dicevo un po' veniva da piangere pure a me: c'è qualcosa di sbagliato nella nostra società.

Progressi nell'inserimento

Dopo qualche giorno soft abbiamo iniziato a lasciarlo due, poi tre ore, pranzo incluso, su consiglio della direttrice che ci ha spiegato pazientemente che il bambino ha bisogno di abituarsi alla routine e alle attività dell’asilo, non può solo aspettare mamma o papà. I primi giorni sono stati un inferno, iniziava a piangere da quando gli dicevo “prendi le scarpe che andiamo” e lo ritrovavo in lacrime dopo il pranzo. Ci sentivamo malissimo. La paranoia genitoriale ci ha portati a pensare anche agli orribili fatti di cronaca con i bambini legati e maltrattati. Per espiare le mie colpe dopo averlo lasciato restavo ad ascoltare le sue grida strazianti. Poi le educatrici hanno cominciato a cogliere dei miglioramenti e in effetti ho smesso di ritrovarlo con gli occhi gonfi di pianto. Giorno dopo giorno ho visto come ha iniziato ad abituarsi fino a che una mattina quando siamo arrivati è voluto scendere dalle mie braccia ed è corso nella stanza coi giochi senza neanche salutarmi.

Dopo il fine settimana invece sono ricominciate le tragedie ed ora ci troviamo che piange disperato quando lo portiamo perché vuole tornare a casa e piange disperato quando lo andiamo a prendere perché vuole rimanere lì a giocare.

Dargli sicurezza

La natura vorrebbe che il bambino stesse con la mamma (o il papà, che vi scordate sempre di noi!) per almeno i primi tre anni di vita ma se non c’è questa possibilità è chiaro che l’asilo è un’ottima soluzione. Basta scegliere una struttura che ci ispiri fiducia, dare sicurezza al bambino, inghiottire i normali sensi di colpa e leggere i consigli di PianetaMamma! Il bambino deve sentire che siamo sicuri di stare facendo il meglio per il suo bene

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