Domande da fare a un bambino che va a scuola
Quando inizia la scuola, ognuna di noi ha la sua piccola-grande quantità di fobie a cui far fronte. Le più comuni sono quelle dovute alla nostra esperienza personale: magari la scuola rievoca in noi ricordi spiacevoli e abbiamo il timore che anche il nostro bambino possa vivere le stesse cose. Per non parlare delle brutte storie che ci giungono da internet, dai notiziari e anche dalle testimonianze di amiche o parenti.
È giusto preoccuparsi? Quali segnali è necessario cogliere? E, al contrario, come evitare di essere iperprotettive o magari trasmettere al bambino le nostre ansie, rischiano così di dargli l’impressione che la scuola sia un luogo pericoloso e ostile? Per tranquillizzare noi stesse ci raccontiamo che una mamma certe cose “le sente”. Che se c’è qualcosa che non va ce ne accorgeremmo. Ma non è così facile. E probabilmente non c’è niente di meglio, per scoprire se qualcosa non va, che parlare direttamente col bambino stabilendo un rapporto di fiducia. Ma bisogna fare le domande giuste, e non accontentarci del monosillabo con cui risponde quando gli chiediamo se è andata bene a scuola. Questo non significa assillarlo con una sorta di “terzo grado” quotidiano. Deve essere un dialogo, non un interrogatorio. Ed ecco le domande chiave che potete fare.
- I mille modi di dire “come è andata”
Sapere se la scuola è un ambiente sereno per il bambino è la prima cosa. Possibili domande che implicano una risposta aperta e quindi un dialogo tra noi sono quelle che riguardano le sue preferenze: qual è la cosa che ti è piaciuta di più tra quelle fatte oggi? Hai imparato una cosa nuova? Una nuova parola? La spieghi anche a me? Sai già cosa farete domani? Come vedete la chiave è fare domande specifiche, ma anche che non si prestino alla risposta “a monosillabo”.
Se ha studiato qualcosa di particolare, ad esempio, potete parlarne insieme in una conversazione alla pari: evitate di pensare ad altro o guardare lo smartphone mentre parlate col piccolo. Altre domande utili per sapere se a scuola si sente a suo agio sono qual è il suo posto preferito e cosa farebbe domani se fosse al posto dell’insegnante.
- Il rapporto con gli insegnanti
Ci sono bambini che “adorano” e venerano le maestre… e altri che non fanno alcun commento a riguardo. Questo vuol dire che qualcosa non va? Non necessariamente, ma per esserne sicure bisogna fare le domande giuste. Ad esempio chiedendo qual è stata la parte più divertente e quella peggiore (o più noiosa) della sua giornata. Facendo domande mirate su cosa ha spiegato oggi quella o quell’altra insegnante, e osservandolo mentre racconta.
- Il rapporto con i compagni
Per molte di noi, paradossalmente, è proprio il rapporto con i compagni a costituire fonte di ansia, più ancora del rendimento scolastico o della reazione con gli insegnanti. Purtroppo i fatti di cronaca ci riportano spesso casi di bullismo anche a danno di bambini delle elementari. Ed è giusto fare attenzione ai segnali, spesso oscuri o contraddittori, che i bambini fanno trapelare. Ma ci sono anche domande utili per capire se qualcosa non va. Una buona domanda è, ad esempio: se potessi scegliere, a chi vorresti essere compagno di banco in classe? E invece a chi NON vorresti stare vicino? Potete chiedere della mensa o dell’intervallo: cosa ha mangiato, con chi ha giocato o con chi si è seduto. Anche alcune domande che citavamo prima, come “qual’è stata la parte più bella della giornata” possono essere utili a capire com’è il suo rapporto con i compagni.
Chiediamo qual è il bambino che lo fa più ridere, e se c’è qualcuno che vorrebbe invitare a casa per un playdate. Inoltre, possiamo chiedere se qualcuno è stato punito e perché, e se ha conosciuto qualche nuovo bambino di un’altra classe.
- Domande più generali
Altri tipi di domande possono servirci per “inquadrare” meglio com’è l’esperienza del nostro bambino a scuola, ma non solo. Chiedendogli ad esempio cosa c’è sul suo banco durante la lezione o quali sono le cose che non ha capito o che lo hanno incuriosito di più inizieremo a creare, giorno dopo giorno, una salutare routine di “chiacchiere” tra noi due. Se riusciremo a rendere i suoi racconti sulla scuola il nostro “momento speciale”, quello in cui parliamo e ci ascoltiamo davvero, per lui sarà meno imbarazzante confidarsi con noi se qualcosa non va. Si perché quando ci sono dei problemi con i compagni, gli insegnanti o lo studio, il motivo principale per cui i bambini non si confidano è la vergogna. Le sicurezze vengono meno e in qualche modo si sentono quelli in difetto. A chi di noi non è mai capitato?
- La scuola diventa parte della nostra vita
Il dialogo sulla scuola può andare ancora oltre. Ad esempio, se a scuola hanno parlato dei dinosauri, possiamo andare a vedere una mostra o prendere qualche libro in biblioteca, e questo ci dà l’occasione di stimolare il dialogo anche su quello che è successo in classe. Durante il tempo passato insieme, questo “portare un po’ di scuola a casa”, gli renderà più spontaneo raccontare del compagno che è stato sgridato, di quello che ha fatto una battuta divertente, della maestra che ha detto una cosa che non ha capito, di quando lui ha alzato la mano per fare una domanda.
In tutto questo, attenzione, non dobbiamo cadere nella trappola della mamma/amica. È giusto fare domande mirate al fine di stimolare la comunicazione tra di noi, ma non prendiamo alla lettera tutto ciò che il bambino dice e non ascoltiamo solo la sua campana, se ha preso un brutto voto o è stato rimproverato dalla maestra.
Ricordiamo che il nostro scopo con queste domande è capire se a scuola va tutto bene e se non ci sono dei problemi "macroscopici": ma imparare costa fatica e arriverà sempre il giorno in cui il bambino rifiuterà di fare i compiti, non necessariamente per colpa dell’insegnante che non riesce ad appassionarlo. E arriverà il giorno in cui dirà che la scuola fa schifo perché “è sempre da solo”: invece di allarmarci immediatamente, aspettiamo qualche giorno per vedere come si evolvono le cose. E ricordiamo che i nostri bambini non sono come noi: sono persone a sé e non è detto che avranno gli stessi problemi che hanno afflitto noi. A meno che non siamo noi stesse, inavvertitamente, a farglielo credere.