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Dispersione scolastica
In passato non era considerata una priorità, anzi era necessario conoscere i tre saperi di base: leggere, scrivere e far di conto per farsi strada nella società. La scuola, il più delle volte per molte famiglie, veniva vista più che un’opportunità una perdita di tempo per tale motivo i genitori preferivano che i loro figli si avviassero al lavoro sin da piccoli. Con gli anni le cose sono decisamente cambiate, per fortuna verrebbe da dire, l’obbligo scolastico ha permesso a tanti bambini e ragazzi di formarsi culturalmente e ha dato la possibilità di ricercare un futuro migliore da un punto di vista lavorativo.
Tuttavia, nonostante le politiche sociali, le campagne di sensibilizzazione e le tante attività a favore di una “scuola dello star bene” la dispersione scolastica in alcune zone dell’Italia è ancora una difficoltà primaria che spesso le istituzioni fanno fatica ad abbattere. Se in zone di provincia o periferia l’istruzione fino alla scuola secondaria di primo grado è accessibile da tutti, la questione cambia per gli istituti superiori spesso collocati nelle città difficilmente raggiungibili da tutte le zone limitrofe per orari di collegamenti o per l’eccessiva distanza.
Molti studenti sono costretti, infatti, a svegliarsi molto presto la mattina per poter essere a scuola alle otto così come il rientro a casa avviene nel pomeriggio perché non ci sono i mezzi necessari o i collegamenti adeguati, ciò comporta uno slittamento per quanto riguarda l’inizio dei compiti oltre all’accumularsi della stanchezza sia fisica che mentale. È vero che questi ritmi li abbiamo vissuti un po' tutti, sveglie all’alba per non fare ritardo a scuola, ma consapevole del fatto che l’istruzione debba essere prima di tutto un piacere per ogni studente è giusto anche modificare determinate “tradizioni”.
Quali sono i segnali dell’abbandono scolastico?
Partiamo con il dire subito che non si vuole generalizzare, ma in alcuni ragazzi, portatori di storie personali e familiari significative, individuare i segnali del disagio è fondamentale per intervenire e comprendere noi adulti cosa fare per aiutarli.
Marco Rossi-Doria, esperto dei processi di apprendimento e integrazione sociale e educativa, e Silvia Tabarelli, insegnante psicopedagogista, nel libro Reti contro la dispersione scolastica. I cantieri del possibile, Ed. Erickson, hanno individuato i vari segnali utili per determinare i primi campanelli d’allarme e poter intervenire preventivamente.
Alunni sbadati, a volte maleducati, con scarsa motivazione allo studio, che sono soliti assumere comportamenti scorretti, che mettono a dura prova la pazienza del docente, che disturbano il lavoro in classe, che prendono la parola nei momenti meno opportuni, che interpellano il docente su questioni non attinenti all’argomento in questione, che chiedono spiegazioni non necessarie.
Da quanto si legge la figura che viene presentata è quella di uno studente poco propenso al rispetto delle regole, al vivere in maniera civile all’interno del gruppo classe, al rispetto dei ruoli. Ci troviamo di fronte persone poco motivate.
Cosa fare? Qual è il nostro compito di educatori?
Molto spesso puntiamo a ricevere e pretendere qualcosa dai nostri alunni e difficilmente ci mettiamo nei loro panni. Se quel ragazzo, ne basta anche uno, non è interessato alla mia lezione e fa di tutto per disturbare sono io adulto che devo pormi delle domande sul mio metodo di insegnamento, forse per lui/lei il mio approccio alla disciplina non è quello corretto. Dobbiamo ricordare che di fronte abbiamo quotidianamente persone diverse fra loro che hanno un proprio vissuto, pertanto non possiamo pretendere di ottenere gli stessi risultati utilizzando le stesse strategie.
Ancora, gli autori individuano tra i segnali:
La mancanza di fiducia nelle proprie capacità e nelle opportunità future. Questa mancanza provoca altre carenze in vari ambiti: il desiderio di autorealizzazione; una concreta proiezione di sé e del futuro; l’idea della necessità di impegnarsi per raggiungere obiettivi prefissati, a breve e lungo termine, e l’assunzione delle responsabilità comprese in un progetto di vita.
La dispersione scolastica solitamente è associata all’insuccesso scolastico. Il non saper fare viene vissuto, apparentemente, dal ragazzo come normalità e menefreghismo, una sorta di mostrare agli altri che per lui/lei non ha nessuna importanza prendere un bel voto o piacere al prof, “tanto una volta finita la scuola andrò a lavorare”. In realtà, esiste un elevato tasso di smarrimento e delusione non tanto per gli altri, genitori o insegnanti, ma per se stessi e scappare dalla scuola pare la via più semplice. “L’alunno, una volta constatati i mediocri risultati, smette di impegnarsi e preferisce passare per scansafatiche piuttosto che perdere la faccia di fronte se stesso, ai familiari, ai compagni”.
Pesa negativamente lo scarso valore che viene dato all’istruzione dalla famiglia e dal gruppo dei pari nei contesti di vita delle nuove e vecchie povertà culturali ed economiche. Ed è qui che hanno origine le assenze scolastiche, giustificate o meno dal genitore.
La famiglia già, quanti danni possiamo fare noi adulti, noi genitori, nei confronti dei nostri figli. Consapevoli delle scarse possibilità economiche in cui versano molte famiglie, tenuto conto della zona periferica in cui vivono molti ragazzi, enormi palazzoni grigi e tutti uguali, con vetri rotti e poco verde, con poche aree attrezzate per i bambini dove la povertà e il vivere alla giornata fa parte di questa cultura. È qui che la maggior parte delle famiglie disprezza l’istruzione per i propri figli e il più delle volte la delinquenza la fa da padrona. Ma da insegnante e pedagogista so che in quelle case ci sono tanti ragazzi che sognano un futuro migliore lontano da quei luoghi, che vorrebbero una giusta istruzione perché è il solo modo per cambiare la loro vita.
Se solo la società tutta facesse un passo avanti verso quelle zone dimenticate sono certa che molto si potrebbe fare. Ci sono insegnanti che portano il loro modo di insegnare in scuole prive di ogni didattica moderna, di ogni tecnologia, ma è l’essere insieme che forma, no il mezzo. “È necessario che i professionisti abbraccino l’idea che la dispersione è affare di tutti e non la pesante responsabilità di alcuni”.