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Un livido nell’anima
Non è facile definire la violenza psicologica, così come non è facile accorgersi della sua azione e dei suoi effetti. Neanche quando a subirli è qualcuno che ci è vicino, che sia un amico o un parente. Spesso, purtroppo, neppure il soggetto coinvolto, la vittima di tale abuso, riesce a rendersi conto in modo tempestivo di quanto sta accadendo.
Questo perché la violenza psicologica è una manipolazione di affetti e relazioni che non si esercita alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, producendo effetti visibili e tangibili. Al contrario si manifesta nell'ombra, tra i non-detti: sembra invisibile, ma lascia segni profondi nell'anima della persona. Per usare le parole di Pamela Pace, autrice del libro "Un livido nell'anima" è:
una trappola che in un primo tempo si presenta dorata e lentamente perde di luminosità, degradandosi in un labirinto buio e pericoloso.
Come si sviluppa la violenza
All'inizio, l'abusante illude la vittima circa il carattere esclusivo del loro legame: può mostrare premura, devozione e cura ma questi sono in realtà strumenti al servizio della violenza psicologica.
Il manipolatore mira infatti a diventare il centro del mondo relazionale dell'altra persona: solo lui la capisce e la conosce veramente, solo lui sa cosa sia meglio per lei. Lavora al fine di isolare il soggetto, per privarlo dei suoi legami: può così cominciare a confondere la vittima, a farla sentire inadeguata, ad agire sui suoi sensi di colpa. Il tutto attraverso atti ripetuti nel tempo, troppo piccoli forse se considerati singolarmente, ma devastanti se valutati in una visione d'insieme.
Chi subisce violenza psicologica si sente spesso confuso, insicuro delle proprie sensazioni e percezioni. Da una parte, il legame instauratosi ha una grande intensità, in virtù anche del fatto che può essere l'unico rimanente: ci può essere quindi la paura di perderlo. Dall'altra, la manipolazione silenziosa rende estremamente difficile la possibilità di accedere alla parola: come riuscire a dire? E da chi essere ascoltati, se non si hanno prove, se tutto quello di cui si dispone a testimonianza dell'abuso è un malessere profondo ma senza voce?
Il libro
"Un livido nell'anima.
L'invisibile pesantezza della violenza psicologica" (Edizioni Mimesis, 2018) è l'ultimo libro dell'Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus ed è un testo che si propone proprio di poter parlare, di rendere cioè "visibile" e dicibile qualcosa che continua a operare nella sua invisibilità. Nato in seguito al Convegno Nazionale del 2017 dell'Associazione Pollicino, il volume rappresenta l'esito di un lavoro capace di coniugare i riferimenti teorici con il lavoro clinico dei terapeuti dell'Associazione.
All'interno del libro, il tema dell'abuso psicologico è in primis inquadrato rispetto alla sua definizione e al suo statuto nei termini della legge, per poi venire articolato nella prospettiva della psicoanalisi. A partire dalla presentazione di situazioni cliniche, vengono quindi affrontati i possibili effetti sintomatici sulla persona, legati alla sequenza infinita e silenziosa della manipolazione psicologica e relazionale. I contributi dei diversi autori (psicologi, psicoterapeuti, psicoanalisti, filosofi, avvocati, criminologi) permettono inoltre di mettere in luce una caratteristica fondamentale di questo tipo di violenza: l'abuso psicologico è trasversale all'età, al genere, ai luoghi.
Può presentarsi e realizzarsi ovunque: all'interno delle famiglie, nel mondo del lavoro (mobbing), nel mondo della scuola (bullismo e cyberbullismo). "Un livido nell'anima" si pone quindi in linea con il principio che guida tutte le attività dell'Associazione: la sensibilizzazione può essere un'efficace forma di prevenzione e prevenire è meglio che curare.
Un aiuto per uscirne
Il testo mira a promuovere la conoscenza del fenomeno, affinché si possa prenderne consapevolezza, e per tale motivo ospita le storie di soggetti che si sono trovati a fare i conti con un legame asfissiante e intrappolante, ma dal quale è possibile uscire. All'interno della relazione, c'è infatti sempre un momento in cui la vittima percepisce che qualcosa non va e avverte un senso di disagio, una sensazione da prendere in seria considerazione. Come detto, però, dare ascolto a se stessi non è mai semplice in una simile situazione.
Ecco dunque che la famiglia, specialmente nel caso dei minori, e i centri che offrono protezione legale possono diventare importanti alleati nel travagliato percorso che porta all'emergere della parola. Così come le figure professionali in ambito psicoterapico: offrire al soggetto un luogo in cui sia possibile dire e lavorare non solo sulla relazione di abuso, ma anche su di sé.