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Psicofarmaci ai bambini: no agli abusi

di Emanuela Cerri - 12.03.2010 Scrivici

Nei nostri articoli sulle psicosi infantili abbiamo accolto diverse critiche da parte di alcuni genitori contrari agli psicofarmaci e per andare infondo alla questione abbiamo intervistato Luca Poma, giornalista e portavoce del Comitato "Giù Le Mani Dai Bambini"
Nei nostri articoli sulle psicosi infantili abbiamo accolto diverse critiche da parte di alcuni genitori contrari agli psicofarmaci e per andare infondo alla questione abbiamo intervistato Luca Poma, giornalista e portavoce del Comitato "Giù Le Mani Dai Bambini", che ci spiega come in America oltre undici milioni di minori sono in cura con farmaci psicoattivi nel tentativo di risolvere i loro malesseri interiori e che dati allarmanti coinvolgono anche altre nazioni come la Francia.

L' International Narcotic Control Board dell'ONU conferma che "...l'uso di sostanze eccitanti quali il metilfenidato/Ritalin per la cura del Deficit di Attenzione/Disturbi d'Iperattività (ADHD) è aumentato di un sorprendente 100% in più di 50 paesi. In molti paesi - Australia, Belgio, Canada, Germania, Islanda, Irlanda, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna e Regno Unito - l'uso delle sostanze stupefacenti potrebbe raggiungere livelli alti quanto quelli degli Stati Uniti..."

Luca, che cos'è esattamente "Giu le mani dai bambini" ?

Innanzitutto, è una scommessa azzardata e vinta. Quella di riunire intorno a un tavolo virtuale molte realtà del mondo associativo e cooperativo, le quali presentavano caratteristiche di così elevata incompatibilità da far pensare impossibile anche solo qualunque tipo di comunicazione che non fosse squisitamente formale. Cosa può avere in comune un sindacato studentesco con una università riservata alla terza età? Un ospedale o una ASL con una associazione che fa della «non terapia farmacologia» la propria bandiera?
Una associazione di psichiatri con un gruppo che promuove l'uso delle medicine alternative? Un movimento cattolico conservatore con un movimento laico di estrema sinistra?  Un grande sindacato nazionale con un club di imprenditori e commercialisti? «Giù le Mani dai Bambini» è tutto questo e molto altro ancora: un vero e proprio «comitato», «associazione di associazioni», composto da realtà molto differenti l'una dall'altra, e con scopi a volte divergenti, che si riuniscono permanentemente intorno a un tavolo e accettano di dedicare parte del proprio tempo, della propria attenzione e delle proprie risorse a una missione percepita come comune. E se pensiamo che ad oggi «Giù le Mani dai Bambini» consorzia centoquaranta tra associazioni, grandi centrali associative, cooperative e altre realtà del terzo settore – un numero che continua senza sosta a crescere – ecco perché possiamo parlare di scommessa vinta. Ma la forma non può essere disgiunta dalla sostanza; e ciò è tanto più vero nel nostro caso perché proprio su un tema così «sensibile» e concreto questi enti hanno trovato un punto d'incontro: la difesa del diritto alla salute dei minori, e dei bambini in particolare. I bambini e gli adolescenti come soggetti deboli ed esposti ad abusi, ma anche come soggetti «forti» nella loro potenzialità, perché, se tutelati adeguatamente – con attenzione discreta ma puntuale, senza interferenze e senza la pretesa di imporre «modelli» – sono in grado di ripagarci di ogni sforzo.


- Luca, come avete reagito in seguito ai dati allarmanti emersi dalle ricerche di cui sopradetto?

Decidemmo di giocare d'anticipo, perché se avevamo una tenue speranza, essa era quella di maturare un adeguato vantaggio in termini di consolidamento del consenso tra il pubblico. Sappiamo che le multinazionali del farmaco contano su fondi ingenti e su una robusta «capacità di fuoco» in termini di marketing, pubblicità e manipolazione della pubblica opinione. Noi potevamo, e possiamo, usare solo due armi: l'onestà intellettuale di buona parte della comunità scientifica nazionale, meno sensibile alle lusinghe del denaro rispetto ai colleghi d'oltreoceano, e la schiettezza della gente della penisola, che più che in altri paesi sembra avere sinceramente a cuore il futuro delle nuove generazioni. Forti di questi due presupposti, e con qualche risorsa umana e finanziaria, abbiamo iniziato ad attivare la nostra rete di relazioni e a predisporre un piano d'azione.
Iniziammo – indimenticabili, quelle prime fasi – a «testare» l'interesse dei nostri concittadini, a Torino, preparando degli enormi e buffi volantini, fotocopiati su cartoncino all'Ospedale Molinette (terzo polo ospedaliero d'Italia, diventerà di lì a poco co-promotore della Campagna) e distribuendoli in scuole, studi medici, e in occasione di eventi culturali coinvolgenti insegnanti e famiglie.

Partecipammo a qualche convegno e rilasciammo alcune interviste. Insomma, muovevamo i primi passi. La sensazione era che si trattava di un problema attualissimo: era, infatti, in pieno svolgimento il famigerato «Progetto Prisma», un'indagine multicentrica finanziata con fondi del Ministero della Salute, ma gestita da poli di ricerca privati, che sappiamo essere anche tra i più attivi recettori dei finanziamenti alla ricerca erogati in Italia da «big pharma». Questa indagine mise in luce un risultato tanto clamoroso quanto prevedibile, considerate le modalità di svolgimento della ricerca, e la tipologia degli enti che la coordinavano: quasi il 10% dei bambini italiani, praticamente 1 su 10, a loro dire soffrirebbe di turbe mentali, disagi della psiche, sindromi varie. Curabili in molti casi – ma che strano! – con le più opportune terapie farmacologiche. Eravamo, quindi, sulla strada giusta: dovevamo attivarci su larga scala nel paese per prevenire questo genere di abusi. L'idea non era quella di contrastare gli interessi dell'industria del farmaco o continuare a sviluppare una, a nostro avviso, inutile cultura proibizionistica sul tema psicofarmaci, bensì di riaffermare dei precisi limiti di carattere etico: sì, ai farmaci psicoattivi, ma solo quale ultima risorsa terapeutica e non come risposta di prima linea; no comunque, agli psicofarmaci sui minori e sui bambini soprattutto se il disagio è trattabile con un intervento non farmacologico. No, in senso assoluto, a quegli psicofarmaci con un rapporto rischio/beneficio negativo, perché l'idea che alcune molecole «basta usarle bene», quando sono in realtà pericolose negli effetti iatrogeni a medio-lungo termine, è solo un mito. No, alla cultura del farmaco inteso come «facile risposta» e come scorciatoia gradualmente de-responsabilizzante; sì, invece, a una informazione sufficientemente corretta, completa e obiettiva, tale da garantire ai genitori la possibilità di sviluppare un eventuale consenso alla terapia realmente informato; sì, soprattutto, alla riaffermazione del pieno diritto alla scelta terapeutica, perché è falso sostenere che l'unica, o la migliore, alternativa sia il farmaco, mito che si accompagna a quello in voga nel XX secolo in occidente – per fortuna anch'esso sul viale del tramonto – dell'origine strettamente biologica di ogni disagio della psiche e del comportamento.


- Perchè avete realizzato una Campagna contro gli psicofarmaci? Non crede che alcuni tipi di disturbi necessitino di un trattamento farmacologico? (Sempre ed assolutamente consigliato solo da un medico specialista ovviamente)

Prudentemente, numerosi esperti sostengono la tesi secondo cui, prima di procedere alla massiccia somministrazione di uno psicofarmaco volto a «curare nascondendo i sintomi» – senza risolvere il vero problema alla fonte del disagio –, sia indispensabile valutare con grande attenzione la situazione clinica e psicologica del bambino nel suo complesso, e per questo le figure professionali del pediatra, dello psicologo, del pedagogista e del nutrizionista devono tornare protagoniste. Al contrario, lo psicofarmaco, diventato quasi «una moda», è oggi troppo spesso la «soluzione» più facile: la pastiglia cui delegare con superficialità la soluzione di ogni problema, inclusi quelli di carattere squisitamente sociale e ambientale. L'allarme per un' impropria medicalizzazione dei disagi dell'infanzia è crescente, nella maggior parte dei paesi del mondo occidentale, e non esiste un "muro" intorno all'Italia: le tecniche di marketing utilizzate dai produttori nel nostro paese sono esattamente le stesse utilizzate in qualunque altra nazione. Noi siamo convinti della necessità e possibilità di individuare una "terza via", una soluzione differente ai problemi di comportamento, che non passi attraverso la cronicizzazione di una terapia che risolve solo i sintomi senza curare alcunchè. Lo psicofarmaco è un sintomatico, non è una cura.
E' stato "spacciato" come cura anche in Italia per anni, da quelli che ho definito "sacerdoti della morale scientifica", pronti a stracciarsi le vesti dinanzi a chiunque mettesse in dubbio l'opportunità di somministrare una metanfetamina ad un bimbo di 6 anni. Ebbene, eravamo convinti allora e siamo sempre più convinti adesso che possano esistere altre soluzioni, ed una parte crescente della comunità scientifica sta man mano convergendo sulle nostre posizioni, che non sono posizioni estremiste, bensì sono posizioni di prudenza, di un certo allarme, di riflessione, d'indagine scientifica intellettualmente onesta, di voglia di mettersi in gioco e di scavare a fondo per cercare le radici del disagio, invece che affidarsi acriticamente a un distributore automatico di pillole della felicità. E' ovvio che esistono problemi di comportamento anche gravi nell'infanzia moderna, solo un cieco od un estremista su posizioni anti-psichiatriche potrebbe negarlo: questo non è in discussione, il punto però, il terreno sul quale si gioca questa partita, è come noi adulti rispondiamo a questa richiesta d'aiuto dei più piccoli. Vogliamo inseguire soluzioni effimere che rendono il bambino più "accettabile" al mondo degli adulti, o vogliamo davvero rendere un buon servizio al minore, donandogli strumenti per gestire i suoi problemi realmente efficaci sul lungo periodo?

- Quali sono le motivazioni che spingono molti genitori a rivolgersi a voi?

La voglia di non dare risposte semplicistiche, accompagnata dalla disponibilità a mettersi realmente in gioco come genitori e come educatori, crescendo assieme al bambino e cercando assieme soluzioni reali ai suoi problemi

- Come si entra a far parte della vostra Associazione?

Giù le Mani dai Bambini non è un associazione tradizionalmente intesa, alla quale può aderire una singola persona, bensì un consorzio di enti ed associazioni. Tuttavia chiunque può contattarci su www.giulemanidaibambini.org, qualunque cittadino con un pò di tempo libero, e aiutarci altruisticamente a combattere questa battaglia culturale di civiltà, che sta portando tutti noi a riflettere sul nostro modo di rapportarci al mondo dell'infanzia

Antonella Marchisella






 
 

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