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Aborto tubarico, il racconto doloroso di una mamma

di Valentina Colmi - 01.09.2017 Scrivici

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Fonte: iStock
Una mamma della Redazione ci racconta l'esperienza dolorosa di un aborto, una sofferenza che sembra non avere una dignità e di cui spesso non si ha il coraggio di parlare

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Aborto tubarico, il racconto di una mamma

Il mio sogno è sempre stato quello di avere una famiglia numerosa. Per questo io e mio marito abbiamo cercato di avere un altro figlio dopo le nostre due bambine di 4 e 2 anni. Non abbiamo dovuto aspettare molto e passati un paio di mesi dall’inizio della nostra ricerca, il test di gravidanza è risultato positivo. Mi sono sentita benedetta e al settimo cielo: già immaginavo come sarebbe stata la vita a cinque, a come l’avremmo detto alla nostra figlia più grande, alla gioia di accogliere una nuova vita nella nostra casa.

A questo si aggiungeva il fatto che una delle mie più care amiche ci aveva annunciato di aspettare anche lei un bambino: avremmo potuto affrontare i 9 mesi insieme e i nostri figli avrebbero potuto essere compagni di giochi. Purtroppo però la nostra felicità è durata poco: i segnali che mi mandava il mio corpo erano diversi rispetto a quelli delle altre due gravidanze. Avevo paura, ma cercavo di essere positiva: sicuramente sarebbe andato tutto bene e la mia ansia si sarebbe rivelata inutile. Invece quando mi sono sdraiata sul lettino del ginecologo e ho fatto l’ecografia di rito per sentire il battito, mi sono sentita dire, senza guardarmi: “Qui non c’è niente”.

Ricordo che fissavo il soffitto e che dentro di me in fondo me lo aspettavo. Una donna lo sa. Ma le brutte notizie non erano finite lì: “Purtroppo sembra che si tratti di gravidanza extrauterina, quindi bisogna tenere monitorata la tuba destra”. Rischiavo infatti l’emorragia interna e di essere operata per asportarla. “Se ha anche il solo minimo dolore vada subito in ospedale”; intanto avrei dovuto tenere sotto controllo le beta per vedere il loro andamento: se fossero scese, sarebbe stato buon segno.

Avevo mille domande in testa: perché proprio io? Perché il mio corpo mi aveva tradito? Perché dovevo passare un altro dolore? Dopo la nascita di mia figlia Paola ho infatti sofferto di depressione post partum e pensavo di essere ampiamente in credito con la sofferenza. Invece ero di nuovo alle prese con qualcosa di più grande di me e di incomprensibile.

Aborto tubarico

Il giorno successivo ho avuto dei dolori forti e sono corsa in ospedale: “Aborto tubarico, la ricoveriamo” - ha sentenziato la ginecologa. La cosa più triste è stata il fatto di dover aspettare la notizia di un aborto seduta in una sala d’attesa assieme ad altre donne incinta, felici e raggianti con i loro pancioni. Loro portavano dentro di sé la vita, io mi sentivo come una tomba. La beta per fortuna stavano scendendo e quindi almeno c’era una buona notizia: è davvero strano come una donna che scopre di essere in dolce attesa speri che il loro valore cresca, mentre io dovevo solo augurarmi il contrario. Per fortuna la mia condizione si è risolta abbastanza bene dal punto di vista fisico: ho espulso tutto da sola come se si trattasse di un’abbondante mestruazione.

In ospedale poi ho conosciuto tante donne fantastiche che si trovavano nella mia stessa situazione: ci siamo sostenute tutto il tempo con gli occhi, consapevoli forse di una forza segreta e potente che ci ha permesso di non lasciarci andare allo sconforto. Non è stato piacevole stare in reparto assieme a donne che avevano appena partorito: le ho invidiate molto, mi sono odiata e le ho odiate perché loro stringevano il proprio bambino mentre io lo avevo perso, anche se ero solo di 6 settimane. Se dal punto di vista fisico stavo bene, purtroppo la strada per il recupero emotivo è stata lunga.

Nel mondo - secondo il rapporto periodico del Guttmacher Institute statunitense e dell’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità - una gravidanza su 4 si interrompe.

Una su 4 e nessuno che dica nulla. Ci si vergogna a parlare di lutto perinatale, perché come sempre - e questo l’ho imparato occupandomi anche professionalmente come giornalista di depressione post partum - la maternità viene intesa solo in termini positivi, a partire da una gravidanza perfetta e senza problemi.

Un dolore che non ha dignità

Il dolore di chi perde un figlio, indipendentemente dallo stadio di gestazione, non ha una dignità. “Hai già due figlie, di cosa ti lamenti?”, “Puoi averne sempre un altro”, “In fondo eri solo all’inizio, meglio che sia successo subito piuttosto che più avanti”. Ah sì, decisamente meglio, brutta testa di cavolo. A volte avevo la sensazione di aver sognato il mio bambino (per me era e resterà il mio bambino) perché nei pensieri e nelle parole di chi mi circonda non è mai esistito. Solo per me e per mio marito è stata una perdita da piangere e da onorare. Proprio in quei giorni ho letto di una scrittrice americana, Ariel Levy, che aveva pubblicato un libro intitolato “The Rules do Not Apply”: le regole che il corpo non ha messo in pratica sono state quelle di aver proseguito la gravidanza.

Anche Ariel era incinta ed ha avuto un aborto al quinto mese, partorendo suo figlio nel bagno di una stanza di un hotel dove si trovava per lavoro. La scrittrice racconta di aver scattato una foto a suo figlio prima che i sanitari arrivassero: solo così aveva la certezza che fosse veramente esistito, perché non essendo una presenza vivente nella quotidianità altrui, era come se la sua esistenza in divenire si potesse cancellare con un tratto di gomma.

Ecco, io per diverso tempo mi sono sentita così: se non avessi conservato il test di gravidanza, probabilmente mi sarei domandata in che dimensione mi trovassi, quella della verità o quella dell’immaginazione.

Ed è stato allora che ho pensato al “Letto Volante”, il quadro in cui Frida Kahlo ha gridato tutto il suo dolore per aver abortito il figlio che aspettava da Diego Rivera. Lei è stata forse una delle poche donne che ha avuto il coraggio di parlare dell’indicibile mostrando il brutto, in mezzo ai tanti quadri di Madonne che nei secoli hanno voluto mostrare solo la poesia della maternità. Soprattutto ha un merito: quello di non aver voluto dimenticare. Io non voglio farlo: della nostra famiglia farà sempre parte quella piccola vita che non abbiamo potuto conoscere perché se n’ è andata via troppo presto. E se nessuno sembra esserne accorto, saremo noi a tenerlo bene a mente nel nostro cuore.

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