Non mi piace essere incinta
Uno degli aspetti più peculiari della gravidanza è sicuramente rappresentato dai cambiamenti corporei che essa determina. Cosa fare se il pensiero fisso è: non mi piace essere incinta? Per certi aspetti l’esperienza di vedere il proprio corpo cambiare, di sentirlo diverso è stata già sperimentata nel corso della pubertà e dell’adolescenza.
La psicoanalisi ha classicamente interpretato questo vissuto come qualcosa di estremamente perturbante: il lutto per il corpo infantile da elaborare, la scoperta di un corpo sessuato e generativo, il conseguente allontanamento dagli oggetti primari per il timore di mettere in atto le fantasie sessuali

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Aldilà delle speculazioni psicoanalitiche quello che è un assunto ineliminabile è che nessuno può prescindere dal proprio corpo e dall’effetto soggettivo che essere un corpo fa a ciascuno di noi.
Un esempio proveniente dal mondo dell’arte sul sentirsi soggettivo all’interno del proprio corpo è certamente il famoso autoritratto di Frida Kalho, in cui la pittrice messicana rappresenta il suo corpo imprigionato da un busto e attraversato verticalmente da una colonna sgretolata: nel quadro la donna piange ed è ricoperta di chiodi.
L’artista esprime qui, come nella maggior parte della sua opera, la propria sofferenza ed il cambiamento radicale dell’esperienza di Sé e del proprio corpo in conseguenza del terribile incidente che nel 1925, all’età di diciotto anni, sconvolse la sua giovane esistenza: le lamiere di un convoglio tramviario nel quale stava viaggiando, schiantandosi contro un edificio, le trafissero il bacino procurandole numerose fratture, rendendo la pittrice storpia e costringendola a sottoporsi a più di trenta interventi chirurgici nel corso della sua vita. Insomma, per citare Merleau-Ponty “io sono il mio corpo” e il modo di avvertirsi all’interno di esso influenza profondamente il modo di sentirsi.
Oltre alle modificazioni somatiche caratteristiche della gravidanza un’altra considerazione riguarda l’abbigliamento.
I propri vestiti non entrano più e sia per comodità che per necessità bisogna adeguarsi ad uno stile decisamente meno elegante e più sobrio. Questo può rappresentare un duro colpo al senso di femminilità di una donna: anche i vestiti infatti dicono di noi, del nostro corpo ed il modo in cui si vestono i propri indumenti non è mai un modo neutro. In gravidanza si tende a vestirsi larghi, come se gli abiti semplicemente ci coprissero, ma non li vestissimo realmente.
Per la maggior parte delle donne la gravidanza è un’esperienza unica, e queste modificazioni vengono perfettamente integrate senza creare particolari problemi. Sono considerate giustamente transitorie e soprattutto finalizzate alla vita del proprio figlio. In altri casi, fortunatamente rari, è possibile che il vissuto soggettivo all’interno del corpo modificato dalla gravidanza non sia gestibile: a prevalere è l’angoscia che non si tornerà più le stesse, che a causa del figlio il proprio corpo è stato mostrificato, ci si sente depresse perchè anche laddove ci si riuscisse ad accettare tra le proprie mura domestiche, l’inferno è fuori, dove nessuno sguardo sembra più apprezzare la bellezza del corpo.
Bisogna sempre valutare attentamente il grado di pervasività e la stabilità nel tempo di una simile ideazione. Essa infatti può perdurare anche una volta avvenuto il parto e può essere rivelatrice di una condizione di depressione post-partum. Inoltre questo tipo di nucleo tematico può anche portare alla restrizione alimentare, che naturalmente rappresenta un fattore di rischio per l’accrescimento e per la salute del nascituro