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La violenza non è amore: l’appello in occasione di San Valentino

di Francesca Capriati - 06.02.2020 Scrivici

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Fonte: Shutterstock
La violenza non è amore: in vista del giorno di San Valentino, l'avvocato Valentina Ruggiero racconta la storia di Maria

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La violenza non è amore

La violenza non è mai amore, e da quelle situazioni bisogna fuggire alla svelta. Lo ribadisce con forza l'Avvocato Valentina Ruggiero, esperta in diritto familiare e da anni vicino alle donne nella lotta contro la violenza di genere, in vista del 14 febbraio il giorno di San Valentino.

Secondo i dati della Polizia di Stato, in Italia ogni giorno 88 donne sono vittime di violenza, circa una ogni 15 minuti. Di queste:

  • il 36% subisce maltrattamenti,
  • il 27% stalking,
  • il 9% violenza sessuale,
  • il 16% percosse.

Il 75% di questi episodi si consuma in famiglia. Negli ultimi 5 anni, 427 mila minori hanno assistito ad episodi di violenza contro la madre, nella quasi totalità dei casi compiute per mano del marito o compagno.

Nella mia carriera, non so più quanti sono i casi di separazione per situazioni di violenza ai quali ho lavorato. Quasi tutti, però, erano accomunati dal fatto che la donna aveva subito violenze fisiche e/o psicologiche per un lasso di tempo lunghissimo, compromettendo la sua salute, la sua vita sociale e la sicurezza sua e, in molti casi, anche dei propri figli. Moltissime di loro pensavano di non avere una via alternativa, ma non è affatto così. Lasciatevi aiutare. Amatevi e prendetevi cura di voi

commenta l'Avvocato Ruggiero  che ha voluto condividere la storia di Maria (nome di fantasia), una donna che ha subito violenze fisiche e psicologiche per 24 anni.

La storia di Maria

La mia storia è iniziata quando avevo solo 13 anni ed ho incontrato quello che sarebbe diventato il mio carnefice. All’inizio, era pieno di attenzioni, si prendeva cura di me, fino a conquistare la mia più completa fiducia. Mai avrei pensato che le cose sarebbero degenerate in questo modo, che sarebbe arrivato ad annullarmi come donna, fino a uccidermi dentro, senza che io me ne rendessi nemmeno conto.

A 17 anni ho avuto il mio primo figlio e, come tutte le mamme, mi sentivo la più felice del mondo.

Ma già dal primo anno di mio figlio, sono iniziate le violenze fisiche e psicologiche, scenate assurde di gelosia. Non potevo uscire da sola, se lo facevo, venivo picchiata violentemente, con calci e pugni. Ho avuto altri due figli, e le violenze sono continuate anche durante le gravidanze.

Ogni volta, però, mi chiedeva perdono, e io credevo fosse sincero, che quella sarebbe stata l’ultima volta, che forse era colpa mia, ero io che lo avevo provocato. Dopo la nascita del mio secondo figlio, ho saputo che lui aveva precedenti penali e faceva uso di droghe, ma sono rimasta.

Negli anni mi ha annullata completamente, non potevo fare nulla, se non in sua presenza, neanche la spesa, perché diceva che non ero in grado, che spendevo troppo. E come avrei potuto? Lui non mi ha mai dato neanche un soldo in 24 anni di unione. Quando i miei figli furono abbastanza grandi, chiesi di poter lavorare, ma mi disse che solo le donne poco di buono lavorano fuori casa. Non potevo neanche comprare un rossetto, per sentirmi bella, o un paio di calze, per sentirmi donna.

Piangevo tutti i giorni e tutto il giorno. Ero terrorizzata dal suo rientro a casa, temevo mi picchiasse di nuovo. Addirittura, disse di volermi sfigurare il viso, così che nessun’altro uomo potesse guardarmi o desiderarmi. La notte avevo paura ad addormentarmi, poiché temevo potesse farlo davvero.

Vivevo in un incubo. Mi prendeva a calci con le scarpe antinfortunistica, mi trascinava per casa finché i nostri figli terrorizzati non andavano a chiedere aiuto ai vicini. Mi diceva che ero brutta, grassa e non valevo nulla e non sapevo fare nulla. Ho iniziato a passare le serate chiusa in bagno, per evitare di essere picchiata ancora e ancora. Ho iniziato a guardarmi allo specchio, a dirmi che, in fondo, non ero così male, e a progettare la mia fuga da quell’inferno.

Ho iniziato a capire che mi stava uccidendo dentro e che, prima o poi, mi avrebbe ammazzata. O mi sarei uccisa io stessa, per mettere fine a quel calvario.

Mia madre, le mie due sorelle, mio fratello e la sua famiglia sapevano ciò che stavo passando da anni, ma nessuno mi ha aiutato. Nessuno mi ha mai incitato a sporgere denuncia, neanche quando mi ha minacciata con una pistola. Solo mio padre era all’oscuro di tutto, perché il mio carnefice mi aveva detto che, se glielo avessi riferito, avrebbe ucciso lui e i nostri figli. Così rimasi in silenzio, continuando a subire, finché incontrai una persona con la quale mi confidai e mi consigliò di rivolgermi al centro Antiviolenza Differenza Donna di Roma, dove ho incontrato moltissime persone che mi hanno offerto il loro aiuto. Lì è iniziata la mia rinascita.

Mi hanno aiutato ad andarmene via di casa, a trovare prima un posto sicuro dove stare con i miei figli, poi un lavoro che mi consentisse un’indipendenza economica. Ma il percorso è stato duro.

Lui non accettava che lo lasciassi. Mi ha anche incendiato l’auto, ma non avevo prove per dimostrare che fosse stato lui. Poi sono iniziate le udienze per la separazione e per le aggressioni. È stato condannato a 18 mesi di reclusione e al risarcimento di danni morali e materiali. Purtroppo, però, in Italia, non sempre c’è la certezza della pena, e il mio carnefice oggi è ancora libero.

A chi vive storie come la mia, vorrei dire di denunciare subito, perché quello non è amore. Chiedete aiuto alle persone a voi care e rivolgetevi a un centro antiviolenza. Non abbassate mai la guardia, perché il vostro carnefice potrebbe agire in qualsiasi momento e fuggite via.

Io, dopo quel lungo inferno, ho finalmente incontrato il mio Principe Azzurro, che oggi è mio marito e mi ama, mi rispetta, si prende cura di me e si preoccupa che io stia bene.

Chi ha sofferto, merita la felicità e che duri per sempre.

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