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La maternità è un master
“Sono molto contento per te” ti dice il tuo capo ufficio quando gli comunichi che sei in dolce attesa. In fondo lavori da diversi anni, pensi di avere accumulato abbastanza esperienza, ti senti pronta per diventare madre. Gli sorridi, finalmente una persona comprensiva. “Ma poi torni subito vero?”, aggiunge. Lì per lì la frase ti fa pure piacere, credi di essere indispensabile, nonostante il famoso proverbio in cui si fa ben presente che nessuno lo sia.
Passano i mesi, la data di nascita si avvicina, ma tu cerchi di lavorare fino all’ultimo, in fondo la gravidanza non è una malattia e non vuoi far vedere di essere stanca. Tra qualche tempo tornerai e avrai avuto un bambino: per il momento puoi ancora dedicarti a te stessa. In ogni caso arriva il momento del congedo di maternità obbligatoria e in ufficio organizzano una festicciola per te: ti regalano vestitini e ciucci, stringi mani contente e ti immergi in abbracci felici.
Dopo la nascita di tuo figlio senti che vorresti stare ancora un po’ a casa. Perché ha bisogno di te, ma anche tu hai bisogno di lui. Le regole lo permettono, puoi chiedere il prolungamento della maternità fino all’anno di vita del bimbo. Certo, lo stipendio ne risente, ma sai che stai facendo la cosa giusta: sono questi gli anni fondamentali in cui si sviluppa l’affettività e tu gli stai dando una base sicura. Così, dopo essere stata via - come tuo diritto - per un anno, ritorni al lavoro. Tu sei contenta, il tuo capo - che era tanto felice per te - ora lo è un po’ meno. Ti rendi conto che al tuo posto è subentrata un’altra collega, che ha svolto il lavoro al posto tuo “visto che tu facevi la mamma”, sottolineando la parola mamma come se non avessi avuto voglia di tornare al tuo posto e avessi ripiegato su “un’attività” meno stressante del lavoro.
Infatti lei non ha figli e non lo sa.
Purtroppo molto spesso le persone che ti circondano non hanno la minima idea di che cosa voglia dire educare un bambino, per questo lo lasciano ad altri, a volte per necessità, a volte perché desiderano che sia così. Ecco, visto che tu hai desiderato che fosse così, devi pagare un prezzo. E il prezzo è quello di ricevere sempre meno mansioni, di essere spostata in un ufficio più piccolo, di soffrire di mal di testa cronici. Di non avere più una vita perché hai scelto di avere un figlio. Eppure non molli: tu il tuo lavoro lo ami - o almeno lo amavi - e ti ripeti che se stringi i denti, se ti impegni di più, se dai maggiore disponibilità, se riesci a vedere tuo figlio solo la sera e sta già dormendo è perché devi ricuperare il tempo perduto. Poi un giorno il tuo capo ti chiama nel suo ufficio. Sicuramente si sarà accorto dei sacrifici che stai facendo. Ti accomodi e senza tanti giri di parole ti dice:
“Mi dispiace, ma l’azienda sta facendo dei tagli e tu purtroppo non rientri più nei piani”. Come? “Perché proprio io?”. “Purtroppo queste non sono decisioni che prendo in prima persona. Ti ringraziamo comunque per l’apporto che hai dato in questi anni e sono sicuro che non farai fatica a trovare un altro impiego”.
In cuor tuo sai che quei “tagli aziendali” sono solo una procedura standard per comunicarti che una donna, quando diventa mamma, diventa un peso per il mondo del lavoro. Perché non c’è più quella dedizione totale al proprio mestiere che si aveva prima.
E come potrebbe essere altrimenti? La vita ha sempre più valore di un ufficio. Decidi allora di prendere questo cambiamento per il lato positivo. Stai assieme a tuo figlio e poi - visto che ti piacciono le famiglie numerose - scegli di avere un altro bambino.
Nel frattempo provi a rientrare nel mondo del lavoro, mandi dei curricula, affini le tue competenze pur sapendo di partire da un’ottima base di partenza. Quando finalmente cominciano a chiamarti per fissare dei colloqui non ti sembra vero: oltre all’aspetto economico lavorare ti piace e credi di essere un elemento valido per le aziende a cui hai mandato il cv. “Come mai non ci sono attività professionali in questo lasso di tempo?” ti chiede il primo intervistatore. “Perché ho preferito dedicarmi alla famiglia, avendo due figli”. “Beh, certo, lei ha fatto una scelta diversa” ti senti rispondere con un sorriso di circostanza. E in men che non si dica ti ritrovi alla porta con la classica frase “le faremo sapere”. Ti senti un po’ sconfortata e anche se sapevi che sarebbe stata dura, non ti arrendi certo al primo rifiuto.
Purtroppo però ne arriva un altro e un altro ancora. Ai colloqui si gira sempre lo stesso copione: “Complimenti per il suo curriculum, ma come mai non ha lavorato in questi anni?”. Se prima dicevi la verità, ora menti sapendo di mentire: “E’ perché ho gestito con successo una piccola impresa famigliare”. Quando ormai non ci speri più, ti chiamano per un colloquio in un’azienda di cui hai sentito parlare benissimo. L’intervistatrice è una donna, sembra simpatica. Tutto si svolge secondo lo stesso canovaccio; quando si arriva alla fatidica domanda sul perché sei stata via tanto tempo dal mondo del lavoro ti prepari la risposta non risposta: “E’ perché ho gestito con successo una piccola impresa famigliare”.
“Ah, ha avuto dei figli” ribatte l’interlocutrice. “Bene: noi qui assumiamo soprattutto professioniste con bambini. La nostra project manager per esempio ha 4 figli: non riesco a immaginare una project manager migliore di una donna che deve gestire 4 bambini”. Sei incredula: finalmente qualcuno si rende conto che essere madri non è un handicap, una zoppia, un depotenziamento delle proprie capacità.
Anzi, spesso come dimostra il Maam - il progetto di Riccarda Zezza - la maternità può essere un vero e proprio master, perché insegna delle competenze che possono essere utili una volta rientrate nel mondo del lavoro.
- Per esempio la capacità di ascolto
- o l’energia che ci si mette nel fare le cose
- oppure la capacità di risolvere i problemi o quella di sapere valutare i rischi.
- Quante volte ti sei ritrovata a decidere che azione compiere per far smettere di piangere tuo figlio? (problem solving)
- Quante volte hai ascoltato il tuo bambino ripetere all’infinito la canzone del coccodrillo?
- Per non parlare della pianificazione perfetta che devi attuare quando devi andare da qualche parte e devi incastrare i tuoi impegni con quelli dei nonni e del papà.
- E poi della facoltà di assumersi dei rischi: quello più grande è quello di voler avere un figlio!
Tutto questo viene mostrato nel bellissimo video spagnolo che racconta di una madre che finalmente riesce ad ottenere il posto che cercava grazie alle sue competenze genitoriali, acquisite proprio nella gestione dei figli. Il video è stato utilizzato in occasione del nuovo NeturalFamily: la community delle famiglie che intende promuovere un welfare alternativo, la conciliazione lavoro/famiglia e un nuovo modo di vivere la genitorialità, senza distinzione di genere. La prossima volta che pensate di non assumere una donna solo perché madre non crediate che abbiate scampato un pericolo: avete solo perso un’opportunità.
Per saperne di più sul progetto Maam U
Nato, dall’esperienza di maam – maternity as a master, maam U è il primo percorso digitale al mondo che trasforma il congedo di maternità in un’opportunità per scoprire e allenare alcune competenze soft (come l’ascolto, la gestione del tempo, l’empatia) molto utili anche sul lavoro: una vera e propria palestra di sviluppo di capitale umano.
Maternity As a Master