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Parto anonimo, cosa dice la legge? Tutto quel che c'è da sapere

di Damiana Sirago - 23.01.2018 Scrivici

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Parto anonimo cosa dice la legge? La donna che al momento del parto non intende riconoscere il proprio figlio ha diritto a veder garantito l’anonimato e a ricevere una adeguata assistenza per compiere una scelta libera e responsabile

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Parto anonimo cosa dice la legge

La nascita di un bambino, seppur sia un evento straordinario, non sempre viene accolto dalle donne in modo positivo. Capita, infatti, che la maternità spaventi così tanto da decidere di partorire e far crescere il bambino in un’altra famiglia.  In ospedale, al momento del parto, occorre la massima riservatezza, senza giudizi colpevolizzanti ma con interventi adeguati ed efficaci, per assicurare, anche dopo la dimissione, che il parto resti in anonimato. Vediamo cosa dice la legge in proposito.

Madre che non vuole essere nominata

La donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti. La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica.  L’istituto del parto consente alle donne che non vogliono riconoscere il figlio, di partorire nel più totale anonimato; il nome delle madri, infatti, in tali casi, rimane segreto, e sul certificato di nascita del bambino, la cui dichiarazione viene fatta dal medico o dall’ostetrica,  viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Tale disciplina trova fondamento nell’esigenza di tutelare la salute e la vita sia del figlio, che della madre, avendo come obiettivo, da un lato, quello di garantire che il parto avvenga in condizioni ottimali, dall’altro, evitare che la donna possa ricorrere a decisioni irreparabili e ben più gravi per il nascituro, quali aborti e infanticidi.

Molte regioni ed in particolare alcune città italiane, per prevenire il fenomeno dell'abbandono traumatico del neonato, hanno promosso campagne informative in proposito, potenziando i servizi a tutela della donna in difficoltà e orientando gli ospedali più specializzati a seguire il parto in anonimato.

Tempestive e adeguate informazioni alla donna in gravidanza e interventi concreti in suo aiuto, di tipo sociale, economico e psicologico, permettono di garantire il diritto alla salute della gestante e del nascituro, un parto protetto nella struttura ospedaliera e la possibilità di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta da parte della donna, se riconoscere o meno il bambino.

Cosa accade dopo il parto anonimo

Inoltre, l’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante. Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.

Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria devono essere omessi elementi identificativi della madre. Il nostro ordinamento inizialmente ha tutelato in maniera ampia e rigorosa il diritto alla riservatezza della madre che non volesse essere nominata, concependo quest’ultimo quasi come un diritto assoluto, e tutelato, quindi, sia nei rapporti familiari, che nei confronti dei terzi; il segreto sull’adozione, infatti, era intangibile, e, pur non prevedendo un espresso divieto di conoscenza da parte dell’adottato delle proprie origini, si impediva di fatto allo stesso di poter acquisire le suddette notizie.

Inizialmente, quindi, il diritto all’anonimato veniva considerato quale situazione giuridica soggettiva destinata a prevalere rispetto a contrapposti diritti e/o interessi. Solo più tardi si è cominciato ad inquadrare la pretesa del figlio nell’ambito della tutela del suo diritto all’identità personale, considerato come parte integrante del libero sviluppo della sua personalità, imponendo, quindi, un necessario bilanciamento tra i due diritti in gioco, i quali coinvolgono entrambi valori costituzionali di primo rilievo.

Parto in anonimato, ripensamento

La lenta evoluzione giurisprudenziale e normativa è culminata nella recentissima decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali con la sentenza n.

1946/2017, colmando il vuoto legislativo, hanno sancito la possibilità per il giudice, su istanza del figlio che abbia il desiderio di conoscere le proprie origini, di interpellare la madre, che alla nascita abbia dichiarato di non voler essere nominata, per domandarle se abbia intenzione o meno di revocare la sua dichiarazione. La Corte Suprema, in tale ultima decisione, ha quindi cercato di coniugare “il diritto fondamentale del figlio a conoscere la propria identità, nel rispetto del contrapposto diritto all’anonimato della madr", precisando, comunque, che nell’ipotesi in cui la dichiarazione iniziale di anonimato fatta dalla madre non sia revocata, e questa resti ferma nella sua scelta di restare sconosciuta, dinanzi a tale circostanza il diritto del figlio di indagare sulle proprie origini continui a trovare un limite insuperabile.

Abbandono neonato in ospedale, diritti del padre

Continua, invece, ad essere trascurata la posizione del padre biologico. In caso di parto anonimo, la donna tiene, quindi, celate le circostanze del parto, pertanto è di fatto compromessa la facoltà del padre biologico di riconoscere il figlio come proprio. Il padre non può neppure effettuare il cosiddetto “riconoscimento al ventre” perché incompatibile con la decisione dell’abbandono in anonimato. 

Informare sul parto anonimo

Per concludere, è necessaria la giusta informazione in merito alla possibilità di parto anonimato per evitare che i neonati vengano lasciati nei luoghi più disparati. Partorire in anonimato è un diritto di ogni donna e per questo va comunicato, diffuso e difeso, nell’interesse dei bambini. E' necessario quindi dire chiaramente alle ragazze, alle donne che non vogliono tenere i bambini e vogliono darli in adozione, che il loro nome non sarà mai reso noto e che se qualcuno oserà farlo sarà in piena violazione del Dpr 396/2000, art. 30, comma 2.

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