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Famiglie atipiche, pochi diritti e tanti doveri

di Francesca Capriati - 20.05.2015 Scrivici

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Il nuovo ISEE è solo l'ultimo esempio di come la politica non tenga conto della famiglia che cambia

Famiglia di fatto, diritti

La famiglia italiana cambia. I matrimoni sono sempre meno, mentre aumentano le coppie di fatto e le smallfamilies, gruppi familiari monogenitoriali (mamme single o divorziate).
Eppure la politica e il welfare non vanno nella stessa direzione e sembrano essere ciechi di fronte ad un cambiamento sociale di tale portata.

Lo dimostrano le leggi attuali e i provvedimenti economici che nascono con il pregevole intento di tutelare chi paga regolarmente le tasse e contrastare i furbetti e si rivelano invece un’arma a doppio taglio per chi non ha un nucleo familiare tradizionale.

E’ il caso del nuovo ISEE, in vigore dal 1 gennaio 2015, che è nato nelle migliori intenzioni dei legislatori come utile strumento per contrastare l’evasione fiscale e che invece si è ritorto contro le famiglie monogenitoriali e le coppie di fatto.

Il paradosso più evidente sta proprio nelle intenzioni di chi ha creato questo nuovo sistema di calcolo dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente: sarebbe nato per tutelare ed aiutare le famiglie numerose, che come dice chiaramente il sito Smallfamilies, sono decisamente di meno rispetto ai nuclei familiari più piccoli o atipici. Nuove tipologie di famiglie, in crescita esponenziale, che non traggono giovamento dal nuovo sistema di calcolo, ma che anzi vengono penalizzate.

Per avere un’idea chiara dell’assurdo di cui stiamo parlando basta leggere ciò che racconta Valentina in questo post.

Mamma separata dall’ex compagno, padre delle sue figlie e mai sposato, richiede l’ISEE per avere accesso a cure mediche pubbliche per sua figlia. E scopre che a concorrere al calcolo sono anche le proprietà e il reddito del suo ex-compagno, che ormai vive solo e ha un reddito e uno stile di vita del tutto indipendente.

Ma la riflessione di Valentina va oltre:

le coppie di fatto esistono, sono tante, pagano le tasse, ma non godono di alcuni diritti fondamentali.

E il paradosso è che

Le famiglie di fatto, per via della totale noncuranza della legge, finiscono per godere anche di alcuni privilegi, per esempio il fatto che gli assegni al nucleo familiare non tengono in considerazione il reddito del convivente non sposato del richiedente. Ci sono anche famiglie di fatto che sulla seconda casa godono degli stessi sgravi che si hanno per la prima casa, solo perché hanno residenze separate.

La riflessione di Valentina è interessante perché sposta il centro dell’attenzione: non parliamo di riconoscere i diritti delle coppie di fatto (battaglia questa che vede l’Italia fanalino di coda in Europa per la difesa dei diritti civili delle coppie di fatto), ma di rivedere il concetto stesso di famiglia che è cambiata nel corso degli anni ed è in continua evoluzione. Di riconoscere l’esistenza di numerose – sempre più numerose – famiglie atipiche, anomale. Che non solo meritano diritti, ma anche una legge che le “veda” e le obblighi a precisi doveri. E alla fine

lo Stato ci guadagnerebbe economicamente, ma soprattutto ci guadagnerebbe in equità e senso di appartenenza. Perché la mia famiglia monoparentale e le famiglie omogenitoriali e chi, per qualunque motivo, scelga di vivere con persone che non sono né il coniuge né i figli generati con il coniuge, si sentirebbe parte di una comunità giusta e accogliente, che non lo lascia ai margini dello Stato di diritto

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