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Le punizioni servono ai bambini dal punto di vista educativo?

di Sara Convertini - 10.02.2017 Scrivici

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Fonte: iStock
L'applicazione di un castigo è cambiato nel corso del tempo, ma le punizioni ai bambini servono dal punto di vista educativo? Il punto di vista della nostra pedagogista

In questo articolo

Le punizioni ai bambini servono?

Le punizioni che i nostri genitori hanno usato sono servite a farci crescere e prendere coscienza dei nostri errori? Che differenza c'è tra le punizioni di una volta e quelle di oggi e quanto sono utili nella crescita sana ed equilibrata di un bambino? Le punizioni ai bambini servono dal punto di vista educativo? Ecco cosa ne pensa la nostra pedagogista.

Cosa significa punire

La punizione è una modalità di intervento educativo basata sull’applicazione di un castigo, una pena appunto, da parte di un genitore o da un educatore nei confronti di un bambino. Prendendo in considerazione l’ambito strettamente famigliare possiamo elencare alcune motivazioni che inducono all’applicazione di una punizione:

  • Un brutto voto a scuola
  • Disubbidienza alla mamma o a papà
  • Bugie
  • Parolacce, linguaggio scurrile
  • Danno ad oggetti di valore
  • Litigi violenti con un fratello/sorella

Punire equivale, in genere, a privare il bambino di qualcosa a cui tiene in particolar modo. Ma non solo. Le punizioni possono essere inflitte con altre, numerose, modalità:

  • Isolare il bambino in un luogo della casa (generalmente la sua stanza) imponendogli di non uscire dalla camera
  • Imporgli di fare qualcosa che non ama fare
  • Privarlo della compagnia di un amichetto o negandogli di partecipare ad una festicciola a cui teneva
  • Rimproverarlo con toni aspri e duri

Le punzioni definite”corporali”prevedono:

  • Uno schiaffo sulle guance o dietro alla testa
  • Una sculacciata
  • La privazione di cibo facendo saltare un pasto della giornata

Video: Le punizioni nei bambini secondo Daniele Novara

In questo video il Dott. Daniele Novara, Pedagogista e Fondatore del CPP, ci spiega perché non serve punire i bambini e ci consiglia come farsi ascoltare dai bambini con il silenzio attivo

Le punizioni nel corso del tempo

Tracciando un brevissimo excursus nei metodi punitivi usati in un remoto passato, si possono ravvisare castighi particolarmente severi come le famigerate “manolate”, i colpi di verga sulle braccia, le umiliazioni verbali (offese), sino ad arrivare a castighi aberranti.

Le punizioni di questo genere erano usate frequentemente e applicate anche su bambini appena in età scolare. Da sempre, quindi, la non buona condotta di un bambino ha avuto ripercussioni sull’atteggiamento dei genitori che quindi, in base all’epoca storica, hanno ritenuto opportuno punire il proprio figlio con metodi di vario tipo.

Con l’età moderna il sistema punitivo è cambiato: le percosse sono venute via via scemando, diventando plausibile lo scappellotto anche forte, ma assolutamente dimenticando l’applicazione di pene severe come i colpi di bastone sulle mani. Il contatto fisico con il bimbo da punire ha, nel corso del tempo, perso di valore ed intensità.

Le punizioni oggi

Con le eccezioni dovute in ogni singolo caso, possiamo con fermezza dire che l’intero sistema punitivo è attualmente cambiato, passando da un approccio particolarmente severo e repressivo a modalità più morbide. Probabilmente la ricerca socio-psico-pedagogica ha inciso sui mutamenti di condotte punitive nell’età moderna. Sono piuttosto rari i contesti familiari in cui si infliggono severissimi castighi ai propri figli, sia morali che corporali. La tendenza sembra, ora più che mai, quella di evitare ogni forma di contatto fisico “violento” con il proprio figlio preferendo modalità di punizione differenti.

Tra i “sostenitori” del metodo punitivo come soluzione educativa efficace vi sono coloro che, attualmente, in seguito a qualche misfatto commesso, ad un cattivo rendimento scolastico ritengono sia efficace vietare l’uso del pc o altri dispositivi ludici per qualche giorno, negare l’acquisto di un giocattolo desiderato o di un alimento che il bambino ama particolarmente. Esistono, ancora, i genitori che danno qualche “scappellotto” al piccolo discolo, ma con meno vigore rispetto ad una volta.

Punizioni: utili o…dannose?

Sì, pare proprio che sia stata messa in discussione non tanto la modalità di punizione quanto la sua reale efficacia. Sembra che l’opinione pubblica si sia divisa a metà: c’è chi sostiene che punire il proprio figlio sia utile perché così “impara a non disubbidire più” e chi, invece, non contempla la benché minima punizione per il bambino.

I detrattori del metodo punitivo come efficace strumento educativo sono fermi nell’idea che sanzionare un figlio con una punizione di qualsivoglia entità sia sbagliato. In linea con i più moderni studi pedagogici, molti genitori rifiutano e addirittura ritengono anacronistica l’idea di punire il bambino

Recenti studi sostengono che

  • Una volta ricevuta la punizione il bambino persevererà nell’errore
  • Il bimbo possa vivere un trauma e che in futuro potrà a sua volta punire
  • Il piccolo possa covare rabbia e risentimento latenti proprio nei riguardi di chi l’ha punito
  • Il bimbo possa sentirsi solo, smarrito, tradito da chi gli vuole bene.

Pare che le punizioni inducano il bambino a dire le bugie e a fare le cose di nascosto, proprio per paura di ritorsioni da parte dei genitori e che dirompente sia l’impulso a voler fare proprio quella cosa tanto proibita per cui è stato “messo in punizione”. Il metodo punitivo può creare una sorta di “senso di colpa” nel bambino, la cui autostima potrebbe diminuire: la punizione rende un bambino emotivamente fragile ed insicuro.

L’ “io” del piccolo si ferisce ad ogni castigo, le ferite diventano rancori che potranno essere nutriti proprio nei riguardi di colui che lo ha punito: il genitore. Il rancore con il tempo si trasforma in aggressività e, non di rado, ci si trova davanti ad adulti irascibili, poco pazienti o intolleranti. Probabilmente vivono un moto interno di inquietudine che può derivare anche da una erronea impostazione educativa ricevuta dai genitori.

Di contro, ci sono genitori che utilizzano la punizione per far sì che il figlio ubbidisca, sostenendo di “tenere sotto controllo la situazione”, di dare una lezione al proprio bambino che sin a piccolo deve imparare che ad ogni cattiva azione corrisponde una “reazione” della mamma o del papà.

Quali alternative alle punizioni?

Tra due fazioni contrapposte circa i sostenitori delle punizioni ed i detrattori, esiste una terza via percorribile da quei genitori che nutrono dubbi sull’efficacia di uno e dell’altro metodo? Certo, esistono mamme e papà che sgridano, riprendono il proprio figlio ponendo sotto la lente di ingrandimento l’atteggiamento/comportamento scorretto assunto dal bambino, ma con un approccio “critico”.

  • Posto che nel mare magnum della relazione educativa con un figlio non esistono formule vincenti preconfezionate, pare che ottimi risultati a lungo termine si ottengano educando un bambino a ragionare su ciò che ha fatto.

Insomma, il comportamento sbagliato va fatto notare al bambino e prima lo si fa e più efficaci sono i risultati. Bisogna indurre il bambino a riflettere sull’errore commesso, instaurare un rapporto di fiducia con il piccolo che ha appena commesso la malefatta. Il genitore, seppur adirato, può dire con tono fermo e severo “hai sbagliato, sono molto arrabbiato con te, soprattutto perché questa cosa non va fatta per questi motivi…” Ma…non andare oltre, non cedere alla tentazione della punizione che sembra in quell’istante la parola magica per insegnare ad un figlio a non commettere più lo stesso errore.

  • Il genitore deve attivare il canale dell’ascolto “perchè hai commesso questa cosa?” e della comprensione, che non vuol dire accettare supinamente un comportamento sbagliato del proprio figlio, ma renderlo responsabile delle proprie azioni.
  • Sarà utile illustrargli le possibili conseguenze di ciò che ha commesso e offrirgli la possibilità di rimediare. Ad esempio, ad un bimbo che ha litigato con il proprio amichetto di classe la sua mamma potrebbe dire” hai sbagliato a comportarti male, prendiamo il telefono per chiedere scusa ora al tuo amico” Insomma, è possibile far capire ad un bambino, anche in età prescolare e quindi piccolino, che se sbaglia può porre rimedio e soprattutto imparare dai propri errori. Questo approccio assolutamente non violento e basato sul reciproco ascolto (il genitore impartisce una lezione, ma deve essere anche disposto ad accettare le ragioni del figlio ) sembra porre le basi per un equilibrato sviluppo psicologico del bambino, adulto di un domani disposto a mettersi in discussione e ad affrontare una realtà, purtoppo, dominata da arroganza ed egoismo.

Essere un buon genitore significa anche instillare il seme del bene, della non violenza. E questa nobile azione si esplica offrendo al proprio bambino il buon esempio, mostrandosi pronti a costruire un ponte di comunicazione solido con un figlio, lo stesso ponte che il bambino attraverserà per giungere più serenamente all’età adulta. “L’educazione è cosa del cuore” diceva S.Giovanni Bosco. Del cuore, della ragione e della non violenza, mi piace aggiungere.

Il potere è di due specie. Un tipo si fonda sulla paura della punizione e l’altro sulle arti dell’amore. Il potere basato sull’amore è mille volte più efficace e permanente di quello derivato dalla paura della punizione. Mahatma Gandhi 

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