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Il compagno di scuola di mio figlio è disabile

di Giulia Fontana - 27.04.2015 Scrivici

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Sempre più spesso nelle classi dei nostri figli ci sono bambini o ragazzi a cui è stata certificata una disabilità. Ecco perché la presenza di un disabile è una risorsa e non un problema

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Disabile in classe

Sempre più spesso nella scuola dei nostri figli ci sono bambini o ragazzi a cui è stata certificata una disabilità, e che quindi sono affiancati da un'insegnante di sostegno e, in alcuni casi, anche da un educatore comunale. La preoccupazione di alcuni genitori a volte è che il fatto di avere in classe bambini e ragazzi che hanno bisogno di tempi più lunghi e di modalità diverse per apprendere possa “rallentare” il programma dell'intera classe e quindi l'apprendimento del loro figlio. Ma è davvero così?

La scuola è per tutti

All'avanguardia rispetto a tutte le altre nazioni in Europa e nel mondo, l'Italia, già negli anni '70 (Legge n. 517 04/08/1977) sancisce l'integrazione scolastica degli alunni disabili e quindi l'abolizione delle cosiddette scuole speciali “a parte”. Questa legge ha avuto bisogno di moltissimi anni per far sì che il primo iniziale inserimento “selvaggio” dei ragazzi disabili nelle scuole normali venisse disciplinato e regolamentato, e un passaggio fondamentale è avvenuto nel 1992 (con la legge 104) che introduce a livello legislativo la figura dell'insegnante di sostegno. A questo proposito è bene sottolineare che l'insegnante di sostegno, non è un docente che lavora esclusivamente sul ragazzo disabile ma ha la “contitolarità della classe”. Già da questo primo punto si può evincere come la presenza di un alunno disabile in classe non toglie nulla ai compagni ma anzi aggiunge una risorsa che può essere utile e decisiva per lui ma anche per la totalità dei compagni.

Come cambia la disabilità se a guardarla sono i bimbi - Video

Chi è disabile?

Se è vero che la legge 104 del 1992 chiarisce l'importanza di una certificazione sanitaria e quindi di un accertamento diagnostico per accedere alla possibilità di avere un insegnante di sostegno, è bene ragionare su ciò che si intende oggi per disabilità.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso l'ICF (una classificazione che viene sempre più utilizzata nelle scuole e negli enti educativi-riabilitativi) parla di un termine ombrello che comprende la cattiva interazione tra una persona con una determinata condizione di salute e il suo ambiente.

Questa definizione, che ad una prima lettura può sembrare complicata, in realtà racchiude un'idea molto semplice: una persona, e quindi un alunno, vive una disabilità quando la sua condizione di salute nel suo ambiente di vita limita la sua possibilità di agire e partecipare. Facciamo degli esempi: secondo l'ICF un bambino ipo-acusico (con difficoltà uditive) non è disabile di per sé, ma ha una disabilità nel momento in cui per es. a scuola è messo in una posizione nella classe in cui non può accedere alla lettura labiale dei compagni e dell'insegnante, in cui vi sono solo spiegazioni verbali alle lezioni senza l'aiuto della lavagna, in cui si fanno riferimenti a concetti astratti senza esempi ed esperienze concrete.

Oppure ancora, un bambino non vedente ha una disabilità nella sua classe se non vi è una spiegazione verbale di quello che si sta facendo alla lavagna, se non ha a disposizione materiale didattico “tattile” o libri scritti in braille. Così come un bambino con DSA è disabile solo nel momento in cui non gli si mettano a disposizione gli strumenti compensativi di cui ha bisogno: mettendolo in condizione di disporre di questi strumenti la disabilità scompare (non il suo problema di salute che rimane, ma scompare la sua limitazione nella partecipazione).

Questa concezione della disabilità porta una conseguenza rivoluzionaria: se noi interveniamo correttamente sull'ambiente tenendo conto delle problematiche di salute dei nostri ragazzi possiamo ridurre o addirittura eliminare, almeno in quel contesto, la loro disabilità. Ma non solo, la visione dell' ICF porta con sé una nuova idea rivoluzionaria: i disabili, non sono una categoria “a parte” fissa e stabile, ma la disabilità è una condizione mutevole che varia nel tempo a seconda del contesto e che può momentaneamente riguardare tutti, anche i nostri figli; l'esempio più immediato è quello fisico: un bambino che per 3 mesi è costretto a venire a scuola in sedia a rotelle con il gesso perché si è rotto la gamba ha una condizione di salute tale per cui senza gli adeguati accorgimenti e facilitazioni nel contesto (un banco adatto, una rampa al posto delle scale, un assistente che lo accompagni al bagno ecc.

) vive una una condizione di disabilità.

Anche un bambino con qualche lieve problema di vista a cui si rompono gli occhiali vive una situazione di disabilità, anche se momentanea, in cui la sua partecipazione è limitata se non si interviene per aiutarlo ad ovviare a questo problema. Così come un bambino celiaco che non ha a disposizione del cibo senza glutine. O un bambino straniero senza nessuno che possa aiutarlo nella traduzione di ciò che viene proposto. O un bambino particolarmente timido e inibito a cui si propongono solo prove sottoforma di interrogazioni orali davanti alla classe e mai compiti scritti. La sorpresa è che quindi anche nostro figlio può trovarsi inaspettatamente magari anche solo momentaneamente in una situazione di disabilità.

Questa visione abitua sicuramente a pensare alla disabilità come ad una condizione che in diversi momenti della vita può riguardare chiunque e chiama in causa la responsabilità dell'ambiente e delle persone che lo vivono di pensare a misure, strategie, interventi ed ausili ad hoc per ciascun bambino. Ecco quindi che il fatto che la classe sia composta da una grande varietà di persone differenti con differenti condizioni di salute (fisica e mentale) stimola a e abitua anche gli adulti e gli insegnati ad una didattica sempre più personalizzata che non vada a proporre le stesse nozioni a tutti nello stesso modo, ma che necessita di una pluralità di strategie e di approcci che non possono che rafforzare e agevolare l'apprendimento di tutti perché tiene conto delle caratteristiche peculiari di ciascuno.

Da ultimo non si può non sottolineare che al di là dei vantaggi “didattici” che può portare un approccio e una visione inclusiva della disabilità o meglio “bio-psico-sociale” (nel senso che tiene conto della salute fisica, mentale e dell'ambiente di vita del ragazzo e dell'interazione tra queste tra componenti) abitua anche gli alunni a scoprirsi ciascuno diverso, ciascuno fragile in uno o più aspetti, ciascuno vulnerabile e bisognoso del sostegno degli altri: in una parola educa all'empatia e alla cura dell'altro, presupposto indispensabile per una vita adulta in una società tollerante e giusta.

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