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C’è differenza tra i giochi maschili e i giochi femminili?

di Emmanuella Ameruoso - 03.04.2015 Scrivici

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E se i bambini sono attratti da giochi che non li rappresentano in termini di identità di genere? Risponde la psicologa Emmanuella Ameruoso

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Gioco e identità di genere

Tradizionalmente, e sin dalla tenera infanzia, gli stereotipi sociali suggeriscono una netta differenzazione tra i sessi nella scelta dei giochi. La moda e i media propongono, invece, dei modelli unisex e spesso confusivi per cui è difficile stabilire dei confini netti e precisi sull’identità di genere.

Al momento della fecondazione, e per qualche settimana che segue il concepimento, il sesso cromosomico XX o XY del futuro nascituro non è evidente. E’ dall’ottava settimana che lo stato di differenzazione sessuale dell’embrione avviene e a indurlo è proprio il cromosoma Y. La sua presenza determina la formazione delle gonadi in senso maschile. Quindi, fino a quel momento, ogni individuo è potenzialmente sia maschio che femmina. Una volta formate, le gonadi diventano responsabili dello sviluppo sessuale morfologico e la secrezioni di ormoni maschili o femminili permetteranno agli organi interni ed esterni di formarsi.

Con questa premessa è facile comprendere come tutti noi continuiamo a mantenere delle caratteristiche legate all’altro sesso nonostante ci sia un’evoluzione biologica diversa. In base a questa trasformazione si definisce l’identità di genere così propriamente detta perché si riferisce esclusivamente al sesso che l’individuo acquisisce geneticamente e alla sua espressione in senso psicologico.

Durante la crescita, l’identificazione col sesso cromosomico viene rafforzato tramite l’educazione, gli stereotipi sociali e il ruolo che si assume all’interno di un contesto specifico. Questo ha luogo anche attraverso le relazioni con i coetanei, nelle quali i bambini percepiscono maggiormente il confronto con chi è diverso da sé e con la propria appartenenza di genere. Si creano così dei modelli interni di riferimentoche permettono la strutturazione di una propria personalità.

Già dai primi 18 mesi di vita, il bambino acquisisce la consapevolezza sulla sua identità di genere, ossia di appartenere al sesso maschile o femminile, e modificare questo stato di cose indurrebbe lo stesso ad un vero e proprio trauma.

È, quindi, attraverso i processi di socializzazione, lo sviluppo del linguaggio e la formazione di meccanismi cognitivi più complessi che si identifica col suo sesso genetico trasmettendo anche agli altri, quindi all’esterno, questa sua certezza.

Il gioco, come attività centrale nello sviluppo della personalità, rappresenta per lui un modo per comunicare la sua “appartenenza”, che diviene a lungo andare più evidente. Esistono effettivamente dei giochi che vengono identificati con il genere: le macchinine, i soldatini, i robot, le armi e i trenini più aggressivi e più competitivi rispetto alle bambole, ai vestitini, alle pentoline che richiamano dedizione e dolcezza. C’è quindi una differenzazione tra il sesso “più forte” ed il sesso “più debole”, ma queste stereotipie appartengono a pregiudizi sociali di facile condivisione.

E se i bambini sono attratti da giochi che non li rappresentano in termini di identità di genere?

In effetti, la scelta del gioco non dipende esclusivamente dalla natura dei cromosomi sessuali bensì dalla necessità di esprimere se stessi in ruoli sia maschili che femminili in quanto in essi sono contenute tutte le specifiche emozioni che non possono essere differenziate. Se una bambina ricerca le macchinine o le pistole o la compagnia dei maschietti per esprimere la sua aggressività, allo stesso modo il bambino giocherà con le bambole e ricercherà lo scambio con le bambine per poter manifestare la sua dolcezza.

Tali esigenze possono essere temporanee e legate alla circostanze, quindi, non necessariamente tendono a diventare costanti nel tempo. I piccoli amano giocare, esprimere, comunicare, condividere. Il gioco è la modalità più spontanea di rappresentare se stesso, le proprie fantasie e i propri desideri. Attraverso il gioco è più facile comprendere ciò che un bimbo sta vivendo nella sua vita e nella sua mente, chi imita e se emula gli altri, se ripropone delle scene, dei vissuti o delle emozioni.

Non necessariamente le sue preferenze sono dirette verso un orientamento sessuale piuttosto che un altro o ad un disturbo dell’identità di genere. Il divertimento ha un alto valore simbolico: la condivisione della “scena” è rappresentativa della propria interiorità e di un linguaggio identificativo molto profondo.

Molto spesso, l’esigenza di un contatto specifico con chi ha una presenza maggiormente rilevante in quel momento nella vita del bambino richiama una necessità di conoscerla più a fondo, imitandola e identificandosi con lei. 

Ma come è più conveniente comportarsi?

È facile cadere nel pregiudizio, è difficile invece riuscire a seguire le esigenze del bambino e condividerle, restando un attento osservatore:

  • sarebbe più indicato accogliere le sue scelte senza punirlo o etichettarlo o deriderlo;
  • bisognerebbe considerare che i pregiudizi culturali e sociali tendono a reprimere i vissuti dei bambini e a non farli sentire realmente se stessi;
  • si potrebbe valutare la possibilità di inserirlo in un contesto sportivo dove è più semplice confrontarsi con i coetanei favorendo una maggiore identificazione con loro e con la propria dimensione corporea. In questo modo tenderà a conoscersi meglio.
  • è importante che il processo identificativo del bambino venga riversato sui genitori e ciò è possibile quando entrambi sono presenti non solo sul piano fisico ma anche emotivo.

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